DIZIONARIO DELLE COSE PERDUTE di Francesco Guccini
Il piacere del ricordo,usando allegria e non malinconia.
“Poeta o buffone, anarchico o ubriacone”, come dileggia se stesso nella storica canzone L’avvelenata, sicuramente Francesco Guccini è un cantastorie moderno capace di intingere la sua penna in un calamaio quanto mai ricco, divertente e affascinante. Autore di testi memorabili, cantati con l’inconfondibile accento emiliano, il Cyrano di Modena ha nella scrittura la sua forza prima e nel passato la sua ispirazione. E quindi ha sfornato un libricino agile che racchiude tutto il gusto dei tempi andati. Fortunatamente andati, per certi versi.
Dizionario delle cose perdute è una raccolta di storie ed emozioni legate a oggetti e usi di anni passati che il cantautore ha vissuto nella sua infanzia e che di certo non rimpiange. Chi può rimpiangere, ad esempio, la banana, ovvero il ricciolone enorme e cavo in cui venivano acconciati i capelli dei pargoletti? “Un vezzo al quale in nessun modo potevamo ribellarci, una specie di grottesco cannolo che sovrastava i nostri occhi, da poco spalancati sul mondo”, scrive Guccini. E l’inevitabile maglia di lana, che si era costretti a portare quasi come un cilicio e nella prima settimana addosso alla pelle cagionava prurito, pungeva, scorticava? Nessuna nostalgia.
Guccini inietta nel suo dizionario tutta l’ironia che lo contraddistingue. Senza malinconia ma con il piacere del ricordo proiettato al presente. La sua memoria passa dalla ghiacciaia, antenata dell’ambito frigorifero, al caffè d’orzo, oggi bevanda da chiedere al bancone in tazza grande o piccola, ma non tanti anni fa, nel Dopoguerra, quando era segno di povertà.
Ogni capitolo, passando dalla cerbottana al chioccaballe, dal Flit al duplex (una linea telefonica unica per due appartamenti per risparmiare sulla bolletta), è una succosa madeleine, per chi quell’epoca l’ha vissuta. E per chi invece è di generazioni più recenti rappresenta un viaggio di scoperta, interessante e spassoso.Alchimia delicata dare luogo all’emozione del ricordo senza cedere alle nostalgie. Ma di questo equilibrio che non si svende al com’eravamo, Francesco Guccini è maestro. Con piglio di storico e istinto di poeta il cantautore che dal passato ha tirato fuori versi struggenti è tornato a raccontarci, e a raccontare ad uso delle nuove generazioni – che lo seguono con un affetto pari a quello dei loro padri – di un tempo sepolto nella memoria. Ne il “Dizionario delle cose perdute”, uscito nelle settimane scorse per Le Libellule di Mondadori e subito balzato nelle posizioni dominanti di classifica, Guccini ci prende per mano accompagnandoci in un viaggio di ritorno tra oggetti, abitudini, espressioni del passato in un confronto con l’attualità che regala momenti d’insuperabile ironia.
Un universo popolato da piccole cose e piccole abitudini, dove i bambini, appena superata l’età delle foto con acconciatura a banana andavano a giocare in strada, il caffè d’orzo era un surrugato e non una bevanda cool da chiedere al bancone e nei condomini si litigava furiosamente per la linea duplex. Guccini allinea tutto ciò con il linguaggio chiaro dei veri sapienti.
E il risultato è una playlist d’infinita ma pudica tenerezza, tra luoghi, oggetti, situazioni che ancora un po’ avevano addosso il profumo della miseria…e della speranza.
VOTO 7
