In Recessione è utile liberalizzare?Scritto da:Nicola Giordano

23.01.2012 11:10

Le liberalizzazioni lasciano dubbi sugli effetti.

Se si fosse in un periodo di crescita economica le liberalizzazioni sarebbero un metodo di modernizzazione. Perché salvare  i commercianti dagli obblighi di apertura e chiusura può aumentare i consumi, aumentare le aperture di farmacie, garantire meno costi e più benefici ai consumatori, eliminare le parcelle minime degli avvocati spingerli a consorziarsi ed ad assicurare una prestazione professionale migliore (in quanto di squadra e non individuale) al cliente.
E così via. Moltiplicare le pompe di carburante o i punti vendita delle carta stampata può favorire un maggiore consumo della benzina e una più ampia diffusione dei giornali e dei periodici. E pretendere dalle banche di non imporre la propria assicurazione sulla vita al cliente che chiede il mutuo è sicuramente un mezzo per consentire al cittadino di scegliere liberamente l'assicurazione per lui più conveniente.
Ma in una fase di recessione le previsioni più logiche e ragionevoli cambiano. Perché gli unici esercizi commerciali che si potranno permettere il maggior costo delle aperture libere saranno in gran parte quelli dei grandi centri commerciali ed in parte decisamente minore quelli dei negozi individuali specializzati (ma sempre scaricando sul consumatore il peso dell'apertura prolungata e diversificata).
Aumentare il numero delle farmacie significherà ridurre i redditi dei farmacisti esistenti, moltiplicare le licenze dei taxi provocherà la proletarizzazione della categoria dei tassisti, l'eliminazione delle tariffe minime degli avvocati non avrà affetto alcuno. Così come servirà a ben poco imporre alle banche di proporre un ventaglio di assicurazioni sulla vita a chi chiederà mutui se non ci saranno mutui da erogare.
In altri termini, quindi, le liberalizzazioni fatte in un periodo di recessione non producono alcuna forma di modernizzazione. E, tanto meno, non riducono di un solo euro le spese delle famiglie. Ma, al contrario, finiscono con il produrre un nuovo e più generalizzato aumento dei prezzi . Il principio, dunque, è sacrosanto.
Ma la sua applicazione in un momento sbagliato non produce alcuna forma di modernizzazione ma solo un aumento di tensione sociale. Perché, allora, il governo tecnico punta sulla liberalizzazioni non innovative ma regressive invece che cercare di liberare la società italiana dalle vere pastoie corporative che lo paralizzano e gli impediscono di tentare di uscire dalla crisi? La domanda è retorica.
Perché appare fin troppo evidente come il governo tecnico formato da una nomenklatura burocratica cresciuta nello stato assistenziale non solo non sia in grado di affrontare i veri nodi che bloccano qualsiasi tentativo di ripresa ma non abbia neppure la volontà politica e la capacità culturale per farlo.
I nodi riguardano le spese dell'assistenza indiscriminata da ridurre e la produzione e l'occupazione da rilanciare. Ma il governo tecnico non sa e non vuole scioglierli. Perché se lo facesse dovrebbe in primo luogo colpire quella nomenklatura burocratica di cui è l'espressione diretta.
Cioè dovrebbe colpire se stesso. Ed in secondo luogo dovrebbe toccare gli interessi e le convinzione radicate di quelle forze politiche e sociali che hanno costruito lo stato burocratico-assistenziale e che sostengono i tecnici al governo solo perché li considerano, in quanto pilastro di quel tipo di stato, i custodi naturali delle strutture pubbliche elefantiache ed improduttive da loro messe in piedi.
Negli ambienti del Pdl in particolare, nessuno si azzarda a fare una considerazione del genere. Si teme che accusare il governo tecnico di prendersela con l'elettorato del centro destra per non dover sfidare l'ira dei sindacati con misure di liberalizzazione del mercato del lavoro e della produzione, potrebbe consegnare Monti alla sinistra.
Il ché è sicuramente è giusto. Ma non può valere in eterno. Perché se per non consegnare Monti alla sinistra si deve perdere l'elettorato del centro destra e la speranza di smantellare lo stato burocratico-assistenziale che è la causa della crisi, è meglio dare a ciascuno il suo.
Ed ai cittadini il diritto di scegliere con le elezioni il proprio futuro.