Recensioni Film e Musica

The Rum Diary

regia:Bruce Robinson

cast :Johnny Depp,Aaron Eckhart,Amber Heard

Passione travolgente e ironia tra rum e spiagge da sogno.

Paul Kemp è un talentuoso giornalista e un grande amante del bere , arriva a Puerto Rico per creare una sua rubrica su un giornale locale prossimo però al fallimento. Alla redazione, oltre terribile capo Lotterman, Kemp stringe amicizia con il fotografo Sala, che diventa suo fedele amico e socio di ubriacature e il rinnegato Moberg, un ex giornalista persosi nel tormento per le donne e l' alcool e dalla passione per i discorsi di Hitler. Ma sicuramente ciè che gli trasforma la vita è la bella Chenault, fidanzata di Sanderson, un uomo d'affari senza scrupoli che sta per dare il via ad una massiccia cementificazione delle spiagge con numerosi alberghi e ristoranti.Il riccone vuole Kemp dalla sua parte per ammorbidire la popolazione del luogo e farsela amica a suon di articoli edificanti.Almeno un decennio prima di partire per la Mint 400 e Las Vegas, Raoul Duke era Paul Kemp, un artista alla ricerca di sé e del proprio stile, alle prime prove di irriverenza e disperazione, alla scoperta quasi epifanica di quel “sogno americano” che poi diventerà imperativo scovare.

A Puerto Rico, costola ribelle dell'America, sorta di “Inghilterra con i frutti esotici”, come si dice nel film in una delle tante intuizioni di scrittura, sono gli anni '60 e si comincia a pagare per guardare il mare da un hotel, perché partecipare al sogno costa e occorre che la gente non si svegli o “potrebbe chiedere il risarcimento”. Una chevrolet rossa e Johnny Depp, l'attore più legato a Hunter S. Thompson, responsabile niente meno che del ritrovamento di questo romanzo anni e anni dopo la sua redazione, fanno da filo rosso e traghettano l'eco del film di Terry Gilliam in questo capitolo giovanile, dove la coppia Kemp-Sala ripropone a tratti quella costituita dal giornalista Duke e dall'avvocato samoano Dottor Gonzo, ma a tenere il gomitolo non c'è un regista visionario bensì uno scrittore che aveva deciso che non avrebbe mai più fatto il regista.

Chi si aspetta di veder risorgere il Bruce Robinson di Shakespeare a colazione resterà ancora in attesa di qualcosa che forse è semplicemente passato e non tornerà: quella leggerezza, quella follia e quell'urgenza tanto vitale quanto artistica, non appartengono certo a questo racconto che si dipana su un binario ultra classico, al limite del calligrafico, e manca persino di misura, trascinandosi oltre i tempi dovuti, ma al regista va reso ancora una volta il merito dell'ottima direzione degli attori e forse non solo. Robinson scrittore ha assorbito lo stile di Thompson e, nonostante abbia conservato solo tre battute del romanzo originale, lo ha restituito con efficacia, omaggiando il suo straordinario talento per i dialoghi. Peccato che, strada fecendo, l'arte della retorica si riduca a pomposo artificio e il film si chiuda nella più pura convenzionalità.

Il risultato di questo suo nuovo lungometraggio è sintetizzabile in un unico aggettivo: debole. Non brutto né mancato, ma semplicemente poco incisivo. Le scene divertenti non mancano, una certa assurda ironia di fondo rende la produzione tutto sommato sfiziosa, ma dopo un inizio interessante si capisce abbastanza presto che il tessuto narrativo del film è molto labile: le varie sottotrame non riescono a reggere la storia del protagonista, che si perde in un guazzabuglio di scene che estrapolate sono senz’altro riuscite, ma messe insieme non costruiscono a una trama interessante. Il peccato maggiore diventa allora quello di aver sprecato l’interpretazione prima di tutto di Johnny Depp, e in secondo luogo di un gruppo di attori preziosi come Aaron Eckhart, Richard Jenkins e la bellissima Amber Heard.

 

                                                        VOTO 6,5

 

Nina Zilli - L'AMORE E' FEMMINA

Prova maiuscola,per la voce più black d'Italia.

Per chi già conosceva la bella e brava Nina Zilli, il suo passaggio sanremese non è stato una sorpresa ma una conferma dell'esuberante personalità dell'artista piacentina dal ricco bagaglio musicale.
Cresciuta musicalmente a pane, Soul e Rhythm and Blues, la sua carriera potrebbe conoscere una vera impennata di notorietà nazionalpopolare che la dura gavetta artistica, il primo Sanremo del 2010 ed i numerosi premi della critica hanno appenna sfiorato due anni fa.

Gavetta spesa come corista per svariati gruppi reggae (tra cui Africa Unite, Franziska, Smoke) e qualche passaggio televisivo a rinforzare l'altrettanto ricco bagaglio di vita tra l'infanzia passata in Irlanda e due anni di apprendistato musicale negli States. Poi il primo Sanremo con L'uomo che amava le donne, vero preludio al primo album Sempre Lontano del 2010, e il successo del singolo 50mila insieme all'amico Giuliano Palma.

Personalità, presenza scenica solare, autoironia e tanta determinazione che trovano conferma nel secondo album L'amore è femmina, con qualche cambiamento di sound rispetto al debutto: la semplicità travolgente, vintage e black che permeava i suoni (da live band) del primo disco si amplia con inserti di moderna elettronica, mai troppo invasivi come nell'apertura Per le Strade scritta da Pacifico. Un disco più controllato nel sound (Michele Canova Iorfida in produzione); vengono a mancare le numerose influenze jamaicane dell'esordio, sostituite da canzoni più soul e confidenziali, mantenendo l'amore e la leggerezza come protagonisti dei suoi testi, con quella punta di femminismo che piacerebbe ad Aretha Franklin, pur con qualche rara e piacevole eccezione. Non cercate troppo impegno, con Nina Zilli ci si svaga e ci si diverte, anche quando un sentimento come l'amore, da leggero si fa pesante.

La tradizione pop della musica italiana dei sessanta con Mina come saldo punto di riferimento, senza cadere mai nella pura imitazione e mettendoci un po' del suo: la sanremese Per Sempre, La Felicità (scritta da Diego Mancino).Poi le solite influenze Motown e Stax, con Etta James, Nina Simone (il suo nome d'arte arriva proprio da qui), i Temptations e le più attuali Amy Winehouse e Caro Emerald sempre ben presenti in Una Notte , L'Inverno All'improvviso e nella struggente prova vocale di Non Qui.

Da segnalare il rocksteady di Un'Altra Estate scritto a quattro mani con Carmen Consoli, il travolgente R&B/rock Anna e il testo esistenzialista nella blueseggiante La casa sull'Albero.Voce temprata dallo studio ( soprano) ma assolutamente naturale e mai forzata. Grande passione per la musica afro/black, temperamento e voglia di arrivare, sensualità, ricerca maliziosa del look; seguendo la sua indole ed una attitudine sincera, così lontana dal cantato "urlato" imposto dagli amici di Maria.

Se le sue polemiche dichiarazioni sui talent show (x-factor in particolare) hanno fatto parlare, facendola passare per spocchiosa, una base di verità nelle sue parole è comunque presente. A volte i talenti possono emergere senza passare dal calderone mediatico forzato e un po' (troppo)preconfezionato del fenomeno televisivo degli ultimi anni. I suoi sudati live-show sono una buona conferma, tanto da riuscire a guadagnarsi il rispetto della scena musicale alternativa italiana. Il duetto sanremese con Skye dei Morcheeba è stato tra le poche cose da salvare del recente Sanremo e resterà un buon biglietto da visita per il futuro, premiandola (per quel che può ancora valere nel 2012) con la partecipazione al prossimo Eurofestival in rappresentanza dell'Italia.

Ora la cosa più importante sarà scrollarsi di dosso le ingombranti ombre, mai negate da lei stessa(Mina , Amy Winehouse) che la seguono alla voce termini di paragone, dimostrando che Nina Zilli è Nina Zilli; proseguendo la sua carriera in modo libero ed indipendente come la carriera della prediletta Nina Simone insegna.

 

                                                                                                         VOTO 7

 

Bel Ami

Regia: D.Donnellan

Cast : R.Pattinson;U.Thurman;C.Ricci;K.Scott Thomas

Un uomo seduttore e senza scrupoli.Grandemente attuale.

Parigi, fine del Diciannovesimo secolo. Georges Duroy torna dopo aver combattuto in Algeria e non ha in tasca un franco. Incontra casualmente in un locale Charles Forestier che gli regala il denaro per comprarsi un abito decente e fare il suo ingresso in società. Georges ha così modo di conoscere la moglie di Forestier Madeleine, l'editore Rousset (interessato a far cadere il governo) e sua moglie Virginie nonché la giovane Clotilde. Grazie alla figlia ancora bambina di Rousset gli verrà dato l'appellativo di Bel Ami che tutte e tre le donne, catturate dalla sua misteriosa bellezza, utilizzeranno. Grazie a loro Georges, che è un piacevole contenitore vuoto, farà carriera calpestando però i sentimenti di ognuna.
Correva l'anno 1919 e già l'ancora muto cinema italiano si impossessava del libro di Guy de Maupassant per farne un film. Da allora periodicamente la figura dello sciupafemmine arrampicatore sociale Georges Duroy è tornata a fare la sua comparsa nelle sale cinematografiche. Tocca ora a Robert Pattinson rinverdirne il ruolo cercando di scrollarsi di dosso il personaggio che gli ha dato una precoce riconoscibilità internazionale nella saga di Twilight. Di vampiri che rischiano di entrarti nel sangue e nella carriera ne hanno saputo qualcosa Bela Lugosi (che si fece seppellire con l'abito da Dracula) e lo stesso Christopher Lee che, nonostante gli innumerevoli e importanti altri ruoli interpretati nella sua lunga carriera, ancora oggi si sente fare domande sul personaggio che gli diede fama internazionale e che oggi vorrebbe non sentirsi più citare. Se la messa in scena di Donnellan e Ormerod non brilla per originalità va dato loro atto che hanno saputo lavorare con un cast di alto livello liberando Pattinson dal giogo di cui sopra puntando tutto sul carattere di bel tenebroso incapace di provare un sentimento vero.
Se le manovre di alcova restano in primo piano e le caratterizzazioni che Turman, Scott Thomas e Ricci offrono di tre diverse età e modi di concepire la passione verso un uomo, nel film c 'è anche (e non poteva non esserci) un richiamo al presente. Perché siamo di fronte a un potere mediatico che offre, grazie a un giornalista che si fa scrivere i pezzi da una delle sue donne, al potere politico dei pretesti per un'impresa coloniale. Ogni riferimento a fatti e persone di questi anni non è da considerarsi per nulla casuale e ci dimostra come gli scrittori degni di tale nome sapessero guardare alla società del proprio tempo con grande lucidità. Dato poi che la storia sembra destinata a ripetersi senza che nulla si sia imparato da essa il loro ruolo diviene al contempo anche profetico. Così nel personaggio di Bel Ami possiamo riconoscere dei nostri contemporanei, magari meno piacevoli a vedersi ma altrettanto rapaci, privi di talento e di scrupoli.

 

                                                      VOTO  6,5

To Rome With Love

07.04.2012 10:11

regia: Woody Allen

cast : Woody Allen,Alec Baldwin,Roberto Benigni,Penelope Cruz,Judy Davis,Ellen Page,Sergio Rubini,Neri Marcorè,R.Scamarcio,A.Mastronardi.

Ecco il vero stile di Woody Allen.Spassoso.

Dopo Londra, Barcellona e Parigi, Woody Allen ha scelto l’Italia, e per la precisione Roma, come set di un suo film. "Ogni volta è come fare una dichiarazione d'amore ad alcuni luoghi. Proietto sul grande schermo i miei sentimenti per i posti che contano nella mia vita. Spero di avere fare lo stesso con Roma".

To Rome with Love consiste in quattro storie che non sono connesse fra di loro. In uno di questi episodi, Woody Allen e Judy Davis sono una coppia in viaggio a Roma per conoscere i futuri suoceri, dato che la loro figlia ha deciso di sposare un italiano. In un altro capitolo troviamo Roberto Benigni, un uomo che, per errore, viene scambiato dalla folla per una star del cinema, e quindi si ritrova costretto a correre e rifugiarsi per tutta la Capitale. La terza parte vede protagonista Alec Baldwin, un architetto californiano, in visita a Roma con alcuni amici, mentre nella quarta parte e ultima, vediamo Alessandro Tiberi e Alessandra Mastronardi, una giovane coppia in visita ai membri delle loro rispettive famiglie, alcuni dei quali si sono persi tra i vicoli della città.

In un primo momento il nuovo di film di Allen che esce due mesi prima che negli Stati Uniti, dove arriverà il 22 giugno, si chiamava Bop Decameron, poi è diventato Nero Fiddled, letteralmente, significa "Nerone suonava" e si riferisce all'espressione inglese "fiddle while Rome burns", ossia "suonare mentre Roma brucia", un modo per indicare che qualcuno è spensierato mentre sta avvenendo qualcosa di grave. Ma poi come ha spiegato lo stesso regista, il cambiamento in To Rome with Love, è dovuto al fatto che poche persone nel mondo capirebbero cos'è il "Decamerone" e peraltro, a differenza di quanto detto spesso dalla stampa italiana, la pellicola non ha nulla a che fare con l'opera di Boccaccio.

To Rome with Love segna anche il ritorno in scena di Allen come attore (era dai tempi di Scoop, esattamente sei anni fa, che non tornava davanti alla macchina da presa) riservandosi un ruolo per sé all'interno del suo viaggio romano, prima di approdare a Copenaghen con il suo prossimo impegno cinematografico in giro per l'Europa. E, a parte il suo ruolo, il cast del film è a dir poco impressionante tra attori italiani e americani, troviamo: Ellen Page, Jesse Eisenberg, Penélope Cruz, Greta Gerwig, Alison Pill, Alec Baldwin, Roberto Benigni, Judy Davis, Donatella Finocchiaro, Ornella Muti, Riccardo Scamarcio, Luca Calvani, Flavio Parenti, Antonio Albanese, Alessandra Mastronardi, Alessandro Tiberi.

Dopo la scomparsa di Oreste Lionello il testimone è passato a Leo Gullotta che sarà la voce italiana di Woody Allen.Tra le curiosità possiamo raccontarvi: Angelina Jolie e Noomi Rapace erano state considerate per il ruolo che poi è andato a Penélope Cruz. Mentre, due belli per eccellenza, come Aaron Johnson e Robert Pattinson hanno fatto il provino per il film ma non sono stati presi.

 

Dopo avere vinto l’Oscar per la Migliore Sceneggiatura Originale per Midnight in Paris, Woody Allen continua il suo circolo romantico di commedie ambientate in esotiche città europee, a cominciare dalla Barcellona di Vicky Cristina Barcelona, alla Ville Lumiére del film appena citato, fino ad arrivare, a quest’ultimo, con Roma. Non dimenticandoci anche dei film ambientati a Londra come Match Point, Scoop e Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni.

Uno dei più grandi cineasti del nostro tempo, che ha ambientato quasi tutti i suoi film nella sua città natale New York, da qualche anno si sta dedicando a scrivere lettere d’amore all’Europa. Ma ricordando l’indimenticabile inizio di Manhattan: “Capitolo primo. Adorava New York, la idolatrava smisuratamente... New York era la sua città e lo sarebbe sempre stata!” e, come annunciato, da Allen stesso, prima o poi farà ritorno a casa.

In ogni modo che sia Parigi o Roma non importa molto, Woody Allen è uno dei più grandi romanzieri cinematografici esistenti, e per lui una commedia che mette in mostra l’intera condizione umana è realizzabile ovunque... in qualsiasi momento, in ogni posto!

Per terminare da segnalare la colonna sonora di To Rome with Love composta da brani come: “Nel blu dipinto di blu (Volare)” di Domenico Modugno; “Arrivederci Roma”;Ciribiribin”; “Non dimenticar le mie parole” e da una marea di arie tratte da opere liriche. “E lucevan le stelle” dalla Tosca di Giacomo Puccini; “Nessun dorma” da Turandot sempre di Puccini; “Libiamo ne’lieti calici” da La Traviata di Giuseppe Verdi; “Son qua, son qua” da Pagliacci di Ruggero Leoncavallo... e non è finita qui!

 

                                                                                                     VOTO  7

 

Madonna - MDNA

02.04.2012 12:05

Per Madonna purtroppo l'età inizia a farsi sentire.

Un album nuovo di Madonna nel 2012 è roba per stomaci forti, soprattutto se anticipato da un singolo come “Gimme All Your Luvin’” – ossia qualcosa niente male ma che suonerebbe imbarazzante cantato da una Avril Lavigne qualsiasi, figuriamoci da lei che ha passato i cinquanta ed un bel po’ di storia della pop music l’ha fatta anche se sono anni ed anni che va avanti per inerzia (quanti anni? Dodici? Quindici? Diciotto? Non sono dotato di pallottoliere per contarli con precisione, ma so solo che sono parecchi e ciò mi basta).

Ci vuole coraggio per affrontarlo e bisogna avere la capacità mentale di separare ciò che è stata Madonna (grande innovatrice sia a livello musicale che a livello di immagine, anticipatrice di trend, figura in grado di provocare le masse con intelligenza e furbizia) da ciò che è diventata invecchiando (artista che insegue disperatamente i trend ma arriva sempre troppo tardi, artista che come attitudine è più anni ottanta ora che allora, donna che ha fatto un uso troppo sbagliato del botox), eppure è doveroso farlo – per rispetto, per dovere di cronaca e, perché no, per le sorprese che possono derivare dall’ascolto prolungato di un’opera coraggiosamente intitolata “MDNA” (un gioco di parole MDMA/MDNA nel 2012? Puah!).

Come approcciarsi ad un’opera del genere? Con disincanto, anche se non sono perfettamente certo che il termine “approcciarsi” esista nella lingua italiana correntemente parlata. Non ci si devono attendere di certo miracoli (Madonna ha già dato, e non è una metafora di natura religiosa – qui si sta parlando di musica) o rivoluzioni copernicane di sorta (vedi il discorso fatto in precedenza riguardo all’invecchiamento di Madonna, con in sovrappiù il fatto che in un mondo dove grazie al web la musica è già vecchia prima di uscire non basta più ingaggiare produttori di grido per farsi confezionare su misura un disco che funzioni bene – serve ben altro, ma ci arriveremo), si deve ascoltare e basta come se il disco fosse opera di una persona qualsiasi e non di Madonna.

Quella Madonna, la Madonna che ci piaceva tanto, è finita almeno nel 1998 con “Ray Of Light” (e relativo video copiato a Biagio Antonacci che le ha garantito l’invidiabile privilegio di poterlo sfottere tramite i suoi legali apostrofandolo come “fattorino delle pizze”) e dobbiamo imparare a considerarla un ricordo lontano parente della Madonna attuale.E come suona “MDNA”? Suona alla grande quando vuol fare ballare (“Gang Bang”, “Some Girls”), peggiora parecchio quando sceglie di fare altro (“Falling Free”, “I’m a Sinner”). La mano dei Benassi Bros (“Girl Gone Wild” ed “I’m Addicted”, che ranze!) e di Martin Solveig si sente parecchio (“Turn Up The Radio” e “Superstar” sono Madonna che fa karaoke su “Ready 2 Go” ed “Hello” , Solveig deve aver azionato il pilota automatico), e le ospitate della militante a buon mercato M.I.A., degli erotomani LMFAO, di Nicki Miraj ed altri personaggi a caso che andavano per la maggiore un anno addietro aggiungono poco a quanto sarebbe sicuramente riuscita a fare Madonna da sola.

Facendo una media matematica “MDNA” è un disco assolutamente dignitoso, di quelli che però li ascolti per un paio di settimane poi te ne scordi perché ce ne sono tanti altri uguali in giro, di quelli che se hanno fortuna la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto (o se hanno dietro una buona strategia di marketing dietro – come Lana Del Rey) parte il tam tam in rete e fanno il botto ma se hanno sfortuna rimangono sul tuo hard disk per circa anno salvo poi venire cancellati quando si tratta di fare spazio ai dischi che usciranno durante l’anno successivo. L’unica differenza è che Madonna per quei dischi ha budget milionari e gli altri invece no, ma in fondo siamo in democrazia e bisogna trattare tutti quanti allo stesso modo.

 

                                                                                                     VOTO  5.5

 

Diaz - Non Pulire Questo Sangue

 
30.03.2012 11:28

regia : Daniele Vicari

castt: Claudio Santamaria,Jennifer Ulrich,Elio Germano,Davide Iacopini

Ricordo di un fatto grave e antidemocratico

Luca è un giornalista della Gazzetta di Bologna (giornale di centro destra) che il 20 luglio 2001 decide di andare a vedere di persona cosa sta accadendo a Genova dove, in seguito agli scontri per il G8, un ragazzo, Carlo Guliani, è stato ucciso. Alma è un'anarchica tedesca che ha partecipato agli scontri e ora, insieme a Marco (organizzatore del Social Forum) è alla ricerca dei dispersi. Nick è un manager francese giunto a Genova per seguire il seminario dell'economista Susan George. Anselmo è un anziano militante della CGIL che ha preso parte al corteo pacifico contro il G8. Bea e Ralf sono di passaggio ma cercano un luogo presso cui dormire prima di ripartire. Max è vicequestore aggiunto e, nel corso della giornata, ha già preso la decisione di non partecipare a una carica al fine di evitare una strage di pacifici manifestanti. Tutti costoro e molti altri si troveranno la notte del 21 luglio all'interno della scuola Diaz dove la polizia scatenerà l'inferno.

Fino a qui la parte iniziale del film a cui vanno fatti seguire dei dati che non sono cinema ma cronaca giudiziaria. Alla fine di quella notte gli arrestati furono 93 e i feriti 87. Dalle dichiarazioni rese dai 93 detenuti (molti dei quali oggetto di ulteriori violenze alla caserma-prigione di Bolzaneto) nacque il processo in seguito al quale dei più di 300 poliziotti che parteciparono all'azione 29 vennero processati e, nella sentenza d'appello, 27 sono stati condannati per lesioni, falso in atto pubblico e calunnia, reati in gran parte prescritti. Mentre per quanto accaduto a Bolzaneto si sono avute 44 condanne per abuso di ufficio, abuso di autorità contro detenuti e violenza privata (in Italia non esiste il reato di tortura).


Gli elementi di cui sopra sono indispensabili per fare memoria su un episodio avvenuto in una scuola dedicata a colui che firmò il bollettino di guerra della vittoria nel 1918 è che è stata teatro della più grave disfatta del diritto democratico della nostra storia recente. Il film di Vicari si colloca all'interno del cinema di denuncia civile di cui Rosi e Lizzani sono stati maestri e che richiama, per la forza e la lucida coerenza della narrazione il Costa Gavras di Z- L'orgia del potere. Vicari non si nasconde dietro a nessun facile manicheismo come quello di tuttora chi considera i Black Block solo dei ‘compagni che sbagliano'. Ne mostra in apertura le devastazioni e, così facendo, può permettersi di proporre un film che si muove su un piano eticamente elevato. Così come solo chi è in malafede potrà accusare Diaz - Non pulire questo sangue di essere 'contro la polizia'. E' sicuramente contro ma con l'opposizione e la denuncia di quel tumore che può pervadere (così come è accaduto) un'istituzione la cui finalità e quella di mantenere l'ordine democratico e non di esercitare violenza fisica e psicologica su chi ritiene di dover sottoporre a controlli o restrizioni di libertà. Dal punto di vista cinematografico poi questo è un film senza star.

Ognuno ha il proprio ruolo che si immerge e riemerge come un corso d'acqua carsico nei gironi degli inferi di quella notte. Una notte da dimenticare diranno alcuni. Una notte da ricordare afferma con forza e rigore questo film. Perché fatti simili non accadano più.

 

                                                                                                      VOTO 6.5

 

The Lady - L'amore Per La Libertà

24.03.2012 10:48

regia : Luc Besson

cast : Michelle Yeoh,David Thewlis,William Hope,Martin John King,Susan Wooldridg

Era atteso con curiosità alla sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, dopo aver ricevuto un discreto consenso al Toronto Film Festival, "The Lady" è l’ultima creazione del regista visionario Luc Besson ("Nikita", "Il quinto elemento", "Giovanna d’Arco") alle prese questa volta con un biopic che odora di svolta creativa.
La vera storia del premio Nobel per la pace nel 1991 Aung San Suu Kyi, donna che ha saputo imporsi sul governo militare birmano, diventando per il suo popolo un’icona di libertà. Aung San Suu Kyi lotterà contro la dittatura in nome della democrazia. Dovrà pagarne il prezzo. Gli arresti domiciliari; la sfortunata morte del marito; l’attentato nel 2002 da cui si salverà, ma che la debiliterà fisicamente.

Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace 1991 e 'orchidea d'acciaio' del movimento per la democrazia in Myanmar. Dopo l'assassinio del padre, il generale Aung San, leader della lotta indipendentista birmana, Suu cresce in Inghilterra e sposa il professore universitario Michael Aris. Quando nel 1988 il suo popolo insorge contro la giunta militare, Suu torna nel paese natale e inizia il suo lungo scontro diretto contro il potere assoluto dei generali.
La figura di Aung San Suu Kyi, paladina dei diritti democratici che per la libertà del suo paese e del suo popolo ha per oltre vent'anni sacrificato la propria libertà personale e gli affetti familiari è di certo una delle più toccanti e ammirevoli fonti d'ispirazione politica e umana degli ultimi decenni. È comprensibile quindi che The Lady fosse tanto per la scrittrice Rebecca Frayn che per il regista Luc Besson e, soprattutto, per la sua interprete Michelle Yeoh un vero e proprio progetto del cuore.

Onde rendere più vicina allo spettatore una figura complessa che ha attraversato fasi tumultuose della Storia di un paese di cui i più davvero poco sanno, Frayn e Besson hanno scelto la via della divulgazione, presentando il contesto storico e politico in maniera essenziale (la principale riflessione sulla Storia del Myanmar è racchiusa nel racconto di sapore quasi favolistico che Aung San fa alla figlia, e che funge da prologo del film), e di far leva sul dramma umano della protagonista. Dopo il ritorno a Yangon nel 1988, Aung San Suu Kyi ha difatti potuto rivedere il marito solo cinque volte, a causa di visti negati al consorte e della sua impossibilità di tornare in Gran Bretagna (una volta lasciato il suolo birmano non le sarebbe più permesso il ritorno), cosa che le ha impedito di vedere i figli crescere e di assistere Aris durante la malattia che l'ha condotto alla morte nel 1999.

Un'impostazione che inscrive la drammaturgia di The Lady nelle convenzioni del melodramma e che, a conti fatti, rischia di sminuire l'aspetto politico della battaglia di Aung San Suu Kyi. Sul fronte della resa formale, Besson rischia poco ed emoziona solo a sprazzi – ossia quando le situazioni tendono all'action (l'assassinio di Aung San, il primo blocco di Suu agli arresti domiciliari dopo la vittoria alle elezioni). Michelle Yeoh, dal canto suo, si spende nella sua migliore interpretazione (assai riuscita nella mimesi del contegno e della postura di Aung San Suu Kyi), anche se si ha l'impressione che il gigione David Thewlis (nel ruolo di Aris) sovente le rubi la scena.
L’interprete malesiana già protagonista de "Memorie di una Geisha" Michelle Yeoh veste i panni della donna simbolo della democrazia birmana Aung San Suu Kyi in modo impeccabile, scrupoloso, fino al manierismo più estremo.

E forse questo eccedere nelle convenzioni è anche il difetto alla base della pellicola, che non pecca in equilibrio formale - riuscendo a dosare nel giusto modo gli ingredienti del dramma - ma in quello sostanziale. Difficile anche riconoscere il timbro registico di Besson, se non avventurandosi in improbabili parallelismi tra le protagoniste dei suoi film e la Suu Kyi. Giovanna d’Arco, Nikita, o la giovanissima protagonista di "Leon", possiedono la stessa potenza emotiva della donna birmana. Ma qui parliamo di un personaggio vero, ancora vivente e questo particolare finisce per pesare per forza di cose sul modo di osservare il film. Luc Besson allora cerca la svolta. Il passaggio dalla finzione di un "Adele e l’enigma del faraone" al realismo dei giorni nostri, ma allo stesso tempo non vuole tradire il suo stile. Realizza un buon film, ma piatto e vagamente asciutto.

 

                                                                                                          VOTO 7

 

A.C.A.B. - All Cops Are Bastards

20.01.2012 10:51

regia:Stefano Sollima

cast : P.Favino,F.Nigro,M.Giallini,A.Sartoretti

Film crudo sull'odio sociale

Bisogna partire dal titolo per comprendere a fondo il film. L'acronimo A.C.A.B., che rimanda a uno slogan di stampo hooligans degli anni Settanta, per esteso significa infatti All corps are bastards, che per chi non mastica l'inglese va tradotto semplicemente come "tutti gli 'sbirri' sono bastardi".

Il film si concentra in particolare su agenti della squadra Mobile con trascorsi difficili e un presente ad alto rischio. Alla violenza che si trovano ad affrontare quotidianamente nel loro lavoro di poliziotti di prima linea, i protagonisti rispondono spesso con altrettanta violenza.

Tratto dall'omonimo libro di Carlo Bonini. Il refrain di un celebre motivo skin anni Settanta diventa richiamo universale alla guerra nelle città, nelle strade. Nella storia Michelangelo, ''Drago'' e ''lo Sciatto'' sono tre ''celerini bastardi''. Sono odiati e hanno imparato a odiare. Basta leggere l'impressionante e inedita chat del loro reparto per capirlo.

Cresciuti nel culto della destra fascista, si scoprono disillusi al termine di una parabola di violenza che e' la loro ''educazione sentimentale''. Nella narrazione di Bonini si svela, attraverso l'occhio e il linguaggio degli ''sbirri'' e una lunga inchiesta sul campo, la trama occulta dei piu' sconcertanti episodi di violenza urbana accaduti in Italia negli ultimi due anni.

Una trama che collega in un ritmo serrato e una scrittura emozionante episodi accaduti in tempi e luoghi diversi come l'assalto militare degli ultras a una caserma di Roma e la caccia al romeno nelle periferie, i Cpt per immigrati clandestini e gli scontri della discarica di Pianura. La catena dell'odio e delle impunità.

 

                                                              VOTO  7

 

Capodanno a New York

21.12.2011 12:34

regia:Garry Marshall
cast :Robert De Niro,Z.Efron,A.Kutcher,Jessica Biel,H.Swank,M.Pfieffer,S.J.Parker.

Grandi attori sprecati in una trama ritrita.

Certe notti l'impossibile può accadere, soprattutto se è la notte di Capodanno, soprattutto se è spesa a New York. All'ombra dell'Empire e sotto la sfera di Times Square, in attesa di esplodere i suoi coriandoli sui rimpianti del 2011 e sui (buoni) propositi del 2012, un gruppo scelto di newyorkesi 'imbandisce' la tavola e l'ultima giornata dell'anno. Chi è molto incinta prova a sgravare al rintocco della mezzanotte e a vincere venticinquemila dollari a colpi di doglie, chi è molto 'glee' è bloccato in ascensore con il vicino più bello del mondo ma vorrebbe essere sul palcoscenico più alto del mondo, chi è molto 'terminale' è costretto a letto dal cancro e dal rimorso, chi è molto rock vuole rimediare a un errore e sposare la bionda del cuore, chi è molto in carriera desidera sbloccare una sfera luminosa e la vita affettiva, chi è molto trattenuto vuole soltanto lasciarsi andare e spuntare dieci proponimenti, chi è molto 'hairspray' esprime i desideri di signore represse e sogna due biglietti per la festa dell'anno, chi è molto mamma desidera il meglio per la prole e una carrozza per la mezzanotte, chi è molto cool tiene un discorso commemorativo e corre all'appuntamento della vita.
Se a Natale si è tutti più buoni, gli americani sono i più buoni di tutti. Perché dispensatori di giustizia, verità e parabole morali perfino tra la Broadway e la Seventh Avenue nel tempo in cui collaudano la Ball Drop e il gradimento del cinecake. Commedia americana a ridosso delle festività e delle ricorrenze commerciali, dove i protagonisti meritano l'happy end e lo spettatore la 'soddisfazione', dove il clima che la festa diffonde diventa punto di svolta e di soluzione dei nodi drammaturgici. Produttore zelante di una bontà quantitativa che omette la qualità e monta l'inconsistenza come fosse panna, Garry Marshall dirige un cast di stelle e stelline, astri ascendenti e in discesa libera dentro la notte di veglia e veglione. Romantic comedy corale, Capodanno a New York fa pienamente sua l'estetica blockbuster muovendo un team umano verso la mezzanotte, il futuro e i piccoli piaceri della vita. Dopo la favola e lo shopping scanditi dalla voce di Roy Orbison (Pretty Woman), dopo le nozze fugate (Se scappi ti sposo) e gli appuntamenti con l'amore (Valentine's Day), il regista newyorkese allestisce sul palcoscenico di Times Square una notte (in)dimenticabile, dove tutti finiranno per innamorarsi, sentendosi sempre meno squali e sempre più filantropi. In una città multi-spot, nel senso della pubblicità e non delle lampadine, va in scena una commedia glassata che abusa di fondotinta e retorica e dice molto sui costumi e sui consumi, sui moralismi sentimentali e sulla banalità glamorous. In un gioco impuro tra cinema e televisione che non conosce una sola direzione, le carte si mescolano e gli attori pure, confluendo a Times Square dalle serie più disparate ed esprimendo il ‘genere' e la specialità di competenza. Lea Michele, la Rachel virtuosa e secchiona del Glee Club, innamora Ashton Kutcher dentro l'ascensore e un pigiama deep purple, Cherry Jones, presidente degli Stati Uniti nell'America in tempo reale di Jack Bauer, presiede più modestamente una riunione annuale. Tacendo sui più celebri Sarah Jessica Parker e Zac Efron, da tempo ‘ostaggi' del cinema sentimentale, 'in piazza' restano modelle e modelli (Josh Duhamel e Sofia Vergara), ex bambine prodigio (Abigail Breslin), rocker in saldo dal New Jersey (Bon Jovi), babbi bastardi e senza gloria (Tim Schweiger), divi terminali (Robert De Niro), 'gatte' che hanno perso Batman e pescato dal mazzo il Joker sbagliato (Halle Berry e Michelle Pfeiffer), ragazze da un milione di dollari (Hilary Swank) messe al tappeto dal peggiore dei discorsi nel peggiore dei film. Una Christmas comedy che ha 'tutti' e non ha niente.

 

                                                                    VOTO 6

 

J.Edgar

16.12.2011 19:13

regia : Clint Eastwood

cast :  L.Di Caprio,N.Watts,J.Dench.

L'uomo più potente e i suoi segreti incoffessabili.

l prossimo film di Clint Eastwood sarà ancora una volta a sfondo biografico su un personaggio realmente esistito nella storia americana: il funzionario politico Edgar J. Hoover a capo dell'FBI per quasi cinquant'anni. Ad interpretare questa figura che ha visto passare ben otto diversi presidenti americani, sarà Leonardo DiCaprio.

Hoover è il titolare di alcune innovazioni molto apprezzate all'interno dell'accademia nazionale per l'addestramento degli agenti come l'archivio delle impronte digitali e l'introduzione dei laboratori scientifici. Si ritrova a metà anni Venti in piena epoca di gangster e a lui si deve la cattura di John Dillinger chiamato il “nemico pubblico numero uno”. In piena epoca maccartista fonda il Counter Intelligence Program attraverso il quale riesce a tenere sotto controllo l'attività di gruppi di estremisti come le Pantere Nere, il Partito Comunista degli Stati Uniti d'America, il Partito dei Lavoratori Socialisti, il Ku Klux Klan e il Movimento degli Indiani d'America.

Le indagini di Hoover sono molto dettagliate e mirano a raccogliere informazioni anche su celebrità riguardo i loro interessi, le attività lavorative e il loro orientamento sessuale. Hoover per primo dà di che pensare alle forze dell'ordine a causa delle voci che lo attorniano sulle sue predilezioni per i travestimenti. Tutto questo mentre gli Stati Uniti affrontano situazioni delicate dove Hoover riesce a mettere il naso, dalla guerra in Vietnam agli assassinii politici di Martin Luther King e Kennedy.
Per il primo film girato da Eastwood e interpretato da DiCaprio, la Warner coglie al volo il progetto di lavoro che aveva sviluppato Dustin Lance Black per Ron Howard e la Universal.

Lo sceneggiatore di Milk torna quindi a confrontarsi con un personaggio forse più che gay friendly e al tempo stesso Ron Howard sarà tra i produttori del film.
DiCaprio si dichiara entusiasta di lavorare a questo film e pronto a travestirsi se il copione lo richiederà, perché uno degli aspetti che Eastwood vuole sondare è proprio la vita privata del capo dell'FBI.

 

                                                            VOTO  8

 

Tiziano Ferro - L'AMORE E' UNA COSA SEMPLICE

09.12.2011 10:02

Un disco liberatorio e senza paure.

“L’Amore è Una Cosa Semplice”, il nuovo album di Tiziano Ferro, debutta proprio in questi mesi sul mercato discografico italiano. 14 tracce grazie alle quali rendersi conto di come gira la situazione musicale nel nostro bel paese che di difficoltà, soprattutto musicali, ne sta affrontando tante.

Non sono bastate una Pausini o un’Amoroso per risollevare le sorti di una tradizione sonora che nel passato portava alto il nostro nome nel mondo. Avevamo puntato allora tutto sul bravissimo Tiziano, l’unico che poteva svecchiare le note tricolori dandogli quindi non solo un tocco di gioventù ma anche di qualità, a dimostrazione del fatto che i ragazzi non sono unicamente superficie ed apparenza ma anche tanta profondità. E se in parte questo secondo punto riesce ad essere soddisfatto col first listen del nuovo disco, quello che invece viene a mancare, purtroppo, è proprio l’aspetto più moderno, quello del ritmo, quello dell’uptempo dal mood accattivante (perchè no, anche elettronico) pronto a schizzare ai piani alti delle classifiche e a migliorare l’umore di chi ascolta le radio ormai piene di canzoni melense.

Se nel passato l’artista osava di più proponendo sonorità più forti e all’avanguardia (vedi “Stop! Dimentica”), adesso incomincia a perdere colpi smarrendo la propria freschezza e risultando, come suggerisce il nostro Riccardo “Zago” Zagaglia, poco sorprendente. Invece di andare avanti si va “indietro” (forse ci aveva dato una piccola anticipazione col titolo di una sua vecchia hit)… ma questa in effetti è una condizione che l’Italia, in generale, conosce molto bene. Un vero peccato! Segue la recensione di “L’Amore è Una Cosa Semplice”

 

Napoletans

26.11.2011 15:40

regia:Luigi Russo

cast :M.Casagrande,G.Rizzo,M.Ceccherini,N.Paone,N.Senicar

Equivoci e risate per una tipica commedia di Natale.In stile italiano.

In un piccolo paesino del sud Italia, dove tutti conoscono tutti, si sviluppa la storia della famiglia Di Gennaro. Il capofamiglia, Gennaro Di Gennaro, noto dentista, è sposato con Anna, casalinga, da qualche anno convertita al Buddismo. Hanno due figli, Roberto, studente all’ultimo anno di medicina e chitarrista in una piccola band che si esibisce nei Pub e le Disco della regione; e Mattia, che frequenta il primo anno di liceo. Apparentemente i Di Gennaro sembrano una famiglia perfetta, ma ognuno di loro nasconde vizi ed eccessi caratteriali fino alle loro ridicole conseguenze. In questo delizioso paesino, arriva Angela, ospite di una zia che gestisce una gelateria, figlia di un fratello della gelataia che si trasferì per amore in Canada, diplomata infermiera, il padre l’ha mandata nel nostro paese per imparare meglio la nostra lingua, fare una nuova esperienza lavorativa per poterlo aiutare poi, nel suo lavoro. Arrivata al paesino ha incontrato Roberto, di rientro da una piccola tournèe, che si dimostra gentile e premuroso. Il ragazzo, rientrato a casa dimostra subito di avere un rapporto conflittuale con il padre, non tollera il carattere farfallone del genitore, sempre pronto a corteggiare le belle donne che si presentano al suo studio (col favoreggiamento del suo incompetente assistente), e a trascurare la moglie. Mattia, fratello minore di Roberto, invece ha lo stesso carattere del papà, giustificato dall’esplosione ormonale che si ha in età adolescenziale, ne combina di tutti i colori, a scuola e in paese, con la complicità del suo fidato amico Marco. Le due pesti metteranno in seria difficoltà il Preside della loro scuola. Quest’ultimo subirà continui rimproveri da parte del Provveditore agli Studi, sempre presente nei momenti più impensati e pronto ad equivocare le varie situazioni in cui troverà il Preside e la Professoressa Isabella Tani.
Un giorno si presentano a casa Di Gennaro, Zio Guglielmo, parente di Anna da parte di padre, emigrato in Argentina e cieco da una decina di anni, e il suo amico Conte Pozzan Della Ghera. Zio Guglielmo, ha messo da parte una consistente fortuna e sentendo prossima la sua fine, vuole conoscere gli unici parenti che ha. Gennaro avendo accumulato enormi debiti di gioco, offre ospitalità allo zio nella speranza di essere inserito nel suo testamento e ripagare così i debitori. In realtà il Conte e lo zio si rivelano due maldestri truffatori che vogliono impossessarsi di un diamante nascosto in casa Di Gennaro dal vero zio Guglielmo anni prima.
Quando Gennaro incontra Angela se ne invaghisce e fa di tutto per starle vicino, saputo del suo diploma da infermiera, le offre di badare allo zio cieco, ospite in casa sua, durante le ore notturne. La narrazione prosegue con equivoci, inganni e gag esilaranti, coronate dalla storia d’amore tra Roberto e Angela, inoltre un vigile bizzarro crea ulteriore caos. Insomma, tra mariti fedigrafi, mogli e amanti, giovani innamorati, zii falsi, diamanti veri, figli pestiferi e assistenti pasticcioni, si propongono tutti gli ingredienti per una divertente commedia moderna.

 

                                                                    VOTO 6

 

Il Giorno In Più

16.11.2011 18:47

regia : Massimo Venier

cast : F.Volo,I.Ragonese,S.Sandrelli

Un giorno in una vita qualnque...

Giacomo è un uomo di successo, sia nel lavoro che con le donne. Cio nonostante evita qualsiasi relazione sentimentale. Inizia, però, ad essere attratto da una donna che prende il suo stesso autobus per andare a lavoro. Quando riesce a chiederle un appuntamento è, ormai, troppo tardi … o forse no?

Cosa significa essere creativamente versatili? Probabilmente, vuol dire riuscire ad adattare la propria visione del mondo e della vita a uno dei qualsiasi mezzi che l’universo della comunicazione ci offre. Che si tratti di cinema o letteratura, di televisione o di radio, una delle chiavi del successo di Fabio Volo risiede nella sua capacità di far entrare il pubblico nel “suo mondo”, fatto di umorismo e dolcezza, sottilmente cinico, quando vuole, ma anche anacronisticamente romantico. Non a caso la maggior parte delle trasmissioni che ha ideato per la radio e la televisione riportavano il suo nome nel titolo (Volo di notte, Il volo del mattino, ecc.). Negli anni si è riuscito a ritagliare il suo spazio portando in dote, in ogni avventura professionale in cui si è buttato, la sua personalità. Ogni lavoro in cui è presente, la sua firma è riconoscibile.

Questa attitudine ha portato il pubblico italiano ad affezionarsi sempre di più al “personaggio”, tanto da creare in questo autunno 2011 un vero caso letterario: alla vigilia dell’uscita del suo ultimo romanzo, "Le prime luci del mattino", a Milano si formano code chilometriche davanti alle librerie in attesa di poter avere tra le mani una copia del libro, caso più unico che raro per un autore italiano. Il giorno in più, diretto da Massimo Venier, è tratto da un precedente romanzo di Fabio, il quale compare anche tra gli sceneggiatori ed è uno dei protagonisti insieme a Isabella Ragonese. Che altro aggiungere: ai suoi fan non resta altro che allacciare le cinture e prepararsi a un nuovo Volo.

 

Scialla! (Stai Sereno)

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12.11.2011 09:37

regia: Francesco Bruni

cast : F.Bentivoglio,F.Scicchitano,B.Bobulova,G.Guarino

Viaggio nell'adolescenza di oggi senza prediche ne pregiudizi.

Bruno Beltrame ha tirato i remi in barca, e da un bel po’. Del suo antico talento di scrittore è rimasto quel poco che gli basta per scrivere su commissione “i libri degli altri”, le biografie di calciatori e personaggi della televisione (attualmente sta scrivendo quella di Tina, famosa pornostar slovacca divenuta produttrice di film hard); la sua passione per l’insegnamento ha lasciato il posto a uno svogliato tran-tran di ripetizioni a domicilio a studenti altrettanto svogliati, fra i quali spicca il quindicenne Luca, ignorante come gli altri, ma vitale ed irriverente. Un bel giorno la madre del ragazzo si fa viva, come un fantasma dal passato, con una rivelazione che butta all’aria la vita di Bruno: Luca è suo figlio, un figlio di cui ignorava l’esistenza. Non solo: la donna è in procinto di partire per un lavoro di sei mesi da cooperante in Africa, e il ragazzo non può e non vuole certo seguirla laggiù. La donna chiede a Bruno di ospitare a casa sua il ragazzo, e di prendersi cura di lui, ma senza rivelargli la sua vera identità.
Inizia così la vicenda del film di un ottimo sceneggiatore che un produttore illuminato come Beppe Baschetto ha finalmente fatto alzare dalla sedia collocata davanti al computer per metterlo al comando di quella ciurma (che immaginiamo divertente e divertita) che ha realizzato un film che trova una sua collocazione originale nel panorama del cinema italiano contemporaneo. Perché Francesco Bruni non vuole proporci l’ennesima commedia generazionale, non vuole spacciarci volgarità a buon mercato ma nemmeno propinarci un’opera prima ‘autoriale’. Vuole qualcosa di più e di diverso. Ci vuole innanzitutto ricordare che una sceneggiatura che funzioni ha bisogno di un costante ancoramento alla realtà. Bruni racconta un adolescente ‘vero’ non un ragazzo immaginato al chiuso di una stanza e poi riversato sulla tastiera di un iPad. Così come nell’inedia di Beltrame ritrae una parte di questa nostra società italiana che si è ormai ritratta, per perdita di fiducia anche nelle proprie capacità, dall’interazione.
L’incontro tra Bruno e Luca cambia tutti e due ma senza che sia necessario spingere sull’acceleratore della commozione che la relazione padre non conosciuto/figlio avrebbe potuto suggerire. Molto più semplicemente ed efficacemente Scialla! ci dimostra e dimostra che anche l’adolescente più recalcitrante e apparentemente impermeabile a ogni stimolo che vada al di là dei bisogni primari è alla ricerca (molto spesso inconsapevole) di una guida. Nel film non c’è mai un momento in cui si possa individuare il benché minimo sentore di un atteggiamento predicatorio. Eppure riesce a ricordarci quanto famiglia e scuola debbano trovare una convergenza d’intenti che abbia al centro i ragazzi. Sempre più difficili da comprendere ma forse proprio per questo più bisognosi di sostegno. Lo fa con il romanesco brillante di Luca e con il veneto (meglio ancora:il padovano) sornione di Bruno. Facendoci ridere e sorridere ma con i neuroni in attività.

 

                                                              VOTO  6.5

 

Il Cuore Grande Delle Ragazze

08.11.2011 09:16

regia: Pupi Avati
cast : C.Cremonini.M.Ramazzotti,A.Roncato.G.Cavina.

Un sguardo maschile (e maschilista) sul mondo delle ragazze.

Carlino Vigetti è un giovane uomo intraprendente che innamora le donne con sospiri di sambuco. Inaffidabile e analfabeta è il giovanotto a cui nessun padre concederebbe in sposa la propria figlia, a meno che non difetti di bellezza e ingegno. Sisto Osti, ricco e avido proprietario terriero della zona, decide suo malgrado di ricorrere a Carlino per maritare almeno una delle sue due figlie. Comprato con la promessa di una moto Guzzi, il ragazzo si reca ogni sera a casa Osti per corteggiarle e decidere quale delle due impalmare. Ma il ritorno da Roma della bella Francesca, figlia adottiva di Sisto, butta all'aria i piani del genitore che dovrà capitolare davanti al sentimento sbocciato tra la figliastra e Carlino. Ostinati a sposarsi e contro il parere di tutti realizzeranno il sogno del matrimonio ma la crisi è in agguato.
Lo aveva già fatto con Gli amici del Bar Margherita Pupi Avati, assumendo uno sguardo maschile su un mondo altrettanto maschile (e maschilista). Questa volta il suo cinema esce dai bar e dai confini emiliani, diffusi di fumo e Campari, per spostarsi nella campagna italiana degli anni Trenta, quando le donne avevano un cuore grande e rassegnato all'adulterio, quando l'infedeltà era congenita al matrimonio, indotta dal virile modello sociale dell'ideologia fascista e giustificata con un imperativo bisogno fisiologico di sesso. Muovendosi su un piano di consolidata nostalgia marginale e attraverso la storia d'amore tra un giovanotto farfallone e una giovane donna timorata di un dio bigotto, il regista emiliano ci racconta lo zelo antifemminista della dittatura fascista, che relegava la donna al focolare domestico, esaltava la maternità a sostegno della forza dello Stato nazionale e inibiva l'affermazione degli interessi individuali. Per questo motivo il Carlino di Cremonini, in giro sui colli marchigiani in sella a una bici ‘special', diventa l'ennesima tipologia di uomo fra i tanti che Avati ha saputo raccontare. Come i padri di Gianni Cavina e Andrea Roncato prima di lui, il personaggio popolano del cantante pop è elementare, affettivamente povero e simpatizzante ottuso della diversità naturale tra uomini e donne a evidente vantaggio dei primi, ancora e sempre meschini, detestabili, puttanieri, ninfomani, fanatici della sottana. Le donne dominanti sul fronte opposto del racconto e di quella porzione di Storia italiana sono mamme in cucina e zitelle in attesa, ragazze da sposare e puttane da comprare (e poi naturalmente disprezzare). A raccontare fuori campo il ritratto di provincia, immortalato dentro l'immancabile posa di gruppo, il figlio di una nuova generazione forse decisa a non ‘formare' più maschi patetici. Interpretato da uno smarrito Cesare Cremonini e una ‘sprecata' Micaela Ramazzotti, che La prima cosa bella di Virzì aveva magnificamente emancipato dal ruolo di ‘coatta' rivelandone il carattere drammatico, Il cuore grande delle ragazze è un film insolvente col passato e col presente, una commedia poco sicura diretta in una condizione di rarefazione vitale. Un'opera minore che si rifugia in un passato remoto per evitare la penosa consapevolezza del presente. Il cuore di Avati è davvero altrove, lontano dall'amore ‘cieco' di Marcorè per Angela, incapace di vederlo e di amarlo dentro un film, quello sì, garbato e poetico.

 

                                                                     VOTO  7

 

Coldplay : MYLO XYLOTO

 

Dov'è finito l'alternative-rock?

“We know our lyrics are a bit shit”, parola di Coldplay. Dopo una dichiarazione simile probabilmente questa recensione potrebbe essere anche superflua ma, a noi piace tanto discutere di musica e, ancora meglio, tentare di trovare un senso in qualsiasi disco e genere musicale. Ritorniamo ai Coldplay facendo un piccolo recap delle ultime dichiarazioni rilasciate, soprattutto dal frontman che, bisogna ammetterlo, sono apparse un tantino bizzarre.

Chris Martin è passato dalla dichiarazione di un amore passionale verso la moglie, sfociando poi nella triste notizia che questo disco potrebbe essere l’ultimo per la band, arrivando a questa perla di saggezza inerente ai testi della sua stessa formazione. Recuperiamo le energie per recensire “Mylo Xyloto” con una buon dose di oggettività. Chris Martin appare gioioso ed emozionato come un bambino nel duetto con Rihanna; la cantante fa il suo ruolo né più né meno rispetto al solito ma Martin sembra davvero essersi appassionato a “Princess of China”. Dopo averci invaso di messaggi di pseudo-innamoramento musicale verso la sexy Rihanna, dicendo che il brano era secondo il suo parere la vetta più alta dell’intero lavoro, ecco che, all’interno del cd è forse l’unico pezzo gioioso e per lo meno ascoltabile con gusto. I tempi d’oro dei Coldplay sono finiti da un pezzo e, aspettarci un brano con un livello di superficialità un attimo meno esibita, sembra essere un’aspirazione troppo alta ma, almeno in “Princess Of China” si ha un target finale ben preciso: gli adoranti fan pop, estremamente pop della formazione.

I Coldplay, ultimamente, sono il gruppo che divide il popolo musicale in due grandi categorie: coloro che li difenderanno fino alla fine e che ritengono già “Mylo Xyloto” come l’estasi del momento e gli altri affezionati, probabilmente, ai primi lavori della formazione che hanno tentato di ascoltare il disco ma, puntualmente, è finito già nel dimenticatoio. A grandi linee, il disco dei Coldplay mostra diversi punti oscuri, veri e propri buchi che risucchiano tutto il potenziale del disco, perché, da qualche parte il potenziale ci sarebbe dovuto essere.

“Mylo Xyloto”,partiamo dal titolo che come afferma lo stesso front-man del gruppo non significa assolutamente nulla,è una frase inventata senza un senso preciso.Questo è forse il disco più indicato per una bella serata rilassante sul divano mentre si ascolta questo e nient’altro, magari collassando nel sonno, con un risveglio pop nel duetto con RiRi. E’ forse il disco più ottimistico dei Coldplay, Martin sembra in preda ad un continuo atteggiamento empatico verso il mondo esterno e le ballate, molto molto frequenti nel cd, lasciano presagire questo spirito a metà fra benevolenza e malinconia.

La prima, vera, traccia “Hurts Like Heaven” lascia l’ascoltatore un tantino inebetito. Viene spontaneo chiedersi dove il disco andrà a parare e, ci si aspetta un cd tutto sommato ballabile e con non troppe pretese. Il seguito, “Paradise” prosegue su questa scia e, seppur non si possa giudicare una canzone negativa, di certo ci si aspetta altro da una delle band più considerate, non mi azzardo a scrivere sopravvalutate, degli ultimi anni.

Si passa poi a “Charlie Brown” che, è forse il pezzo migliore di tutto il disco: il brano inizia con uno dei migliori intro dell’album ed uno slancio di Chris Martin vecchia maniera; si arriva nel punto in cui ci si aspetta che finalmente, i Coldplay, dimostrino di essere la band britpop per eccellenza. Dopo questa traccia che fa ben sperare si passa a “Every Teardrop Is A Waterfall” che risulta essere un clone di altre canzoni presenti nel disco. I paragoni “alti”, nella musica, purtroppo si sprecano fin troppo nelle varie recensioni, giornalistiche e non. Da sempre, li ritengo poco opportuni e, ancor più in questo caso. Le altre canzoni dei Coldplay proseguono in un misto fra esaltazione (non dimentichiamoci per nessun motivo “Princess of China”) e malinconia da, quella che dovrebbe essere, occhi lucidi. Purtroppo, delle emozioni che i Coldplay vogliono trasmettere arriva ben poco.

Probabilmente, uno dei problemi di Chris Martin è quello di affidarsi troppo al pensiero dei fan; oggettivamente, bisogna sottolineare che nel periodo pre-uscita del disco, Martin non ha fatto altro che assumere il lato vittimistico della situazione dicendo che non ama googlare il nome della  band in quanto in rete si trovano cose davvero spiacevoli a riguardo.

Definire i Coldplay “Alternative Rock” ormai è utopia pura. I Coldplay sono mai stati Rock? Sono mai stati Alternativi? Per rispondere a queste domande bisognerebbe aprire almeno un altro articolo e relativa discussione. A mio avviso il problema degli estimatori dei Coldplay, vecchia maniera, è quello di vederli ancora come una band alternative rock; se si parte da questo presupposto “Mylo Xyloto” non piacerà; non riesce proprio a piacere anche con i nuovi tentativi di sperimentazione. Coloro che saranno in grado di analizzare il disco solo come prodotto in sé, senza ricondurlo ai Coldplay, allora, riusciranno, forse, a trovare qualcosa di buono nel disco che è un perfetto prodotto pop. Avrei voluto dare almeno la sufficienza ai Coldplay ma, riascoltando “Mylo Xyloto” ancora e ancora,è impossibile; la sufficienza la si potrebbe pure dare solo ed unicamente perché sono i Coldplay, perché il ricordo di dischi come “X&Y” e “A Rush of Blood to the Head” non è poi cosi lontano ma i Coldplay sono di gran lunga rimandati al prossimo esame, sempre se ci sarà.

 

                                                                  VOTO  6

 

L'Amore all'improvviso

29.10.2011 15:23

regia : Tom Hanks

cast : T.Hanks,J.Roberts,B.Cranston

Un Inno all'ottimismo made in U.S.A.

Un film scritto.diretto e interpretato da Tom Hanks che incrocia il genere più ottimista che esista (la commedia) con il soggetto più ottimista che esista (quello della seconda volta) e della possibilità di rifarsi una vita dopo un primo fallimento.Hanks,che lo ha scritto insieme a Mia Vardalos (autrice di Grosso Grasso Matrimonio Greco),e recitato insieme a Julia Roberts non sembra porre limiti alla possibiltà di rinascita.Prima che il film inizi lui è già divorziato,malamente e nelle primissime scene viene licenziato con la più insulsa delle motivazioni:non avrebbe fatto il college e quindi non potrebbe essere promosso.E fa solo il commesso!Gli basta mezz'ora e incontrerà l'insegnante,naturalmente donna,che gli cambierà la vita e scoprire che esistono ancora persone generose e altruiste e che in fondo basta studiare per poter sfondare.

Molto prevedibile come sceneggiatore,ma professionale come regista,Hanks si salva naturalmente come attore,ma resta ben lontano dalle prove sensibili e toccanti cui ci ha abituati in passato con altri registi e sceneggiatori.

 

                                                                VOTO 6

 


 

Gianluca Grignani : NATURA UMANA

26.10.2011 15:09

Un ritorno finalmente convincente per il cantautore milanese.

NATURA UMANA è il novo lavoro di inediti di Gianluca Grignani,anticipato nelle radio dal singolo Un Ciao Dentro un Addio (vedi la canzone nella sezione video) pezzo rock ma dal cuore dolce."E' un disco di pancia con il quale voglio ribadire l'importanza della natura umana perché non voglio più sentirmi un oggetto o un animale o peggio qualcosa che viene strumentalizzato": è un Gianluca Grignani consapevole e determinato quello che emerge dagli 11 pezzi del disco. "L'idea di questo disco nasce da un bisogno, dall'esigenza di affermare la propria esistenza, è una rivendicazione del proprio stato d'essere che a volte non riesce a far parte del passato, spesso poco concreto, e nemmeno del futuro che abbiamo davanti. Mi sono detto, se non lo faccio ora, poi sarà troppo tardi". "E' stato tutto talmente veloce che non ho pensato nemmeno a scegliere la tracklist", ha raccontato Grignani , "ma questo non vuol dire che non sia un album fatto bene: è un album di estrema qualità, con belle canzoni e melodie, ma privo di preconcetti e strutture commerciali. E un disco aggressivo,ma che tiene fede alle radici italiane, in fin dei conti noi veniamo da Giacomo Puccini, Lucio Battisti, Giuseppe Verdi,poi certo, ogni tanto arriva dentro qualche chitarra distorta, che ci possiamo fare,è il carattere di Grignani.

Questo disco è,per molti versi, il suo lavoro più libero e lontano da etichette. Come suggerisce il titolo, è una riflessione sull’uomo e sulla sua natura “binaria”,  fatta di forza e debolezza, di miseria e splendore, di finito e infinito. La ricerca di un proprio posto nel mondo, dal quale poter ammirare il panorama della meraviglia che ci circonda sapendo che non sarà per sempre.Se il precedente album “Romantico Rock Show” aveva rappresentato per Gianluca Grignani una vera e propria ripartenza artistica (cambio di etichetta discografica, cambio di collaboratori, debutto del suo home recording studio), “NATURA UMANA” conferma la forza e la determinazione con cui il nuovo viaggio è stato intrapreso. E’ un album “umano” anzitutto nel suo fattore musicale, fatto con le mani e con il cuore, canzoni rock dalla grande carica melodica, piene di quegli squarci e di quelle aperture che da sempre caratterizzano il miglior songwriting del loro autore.Che dire,davvero ben fatto.

 

                                                                 VOTO  7

 

Gli Sfiorati

17.10.2011 09:58

regia: Matteo Rovere

cast :A.Bosca;A.Argento;C.Santamaria;M.Riondino;M.Popolizio

Gli Sfiorati.Generazione che ha avuto tutto,senza mai possederlo veramente.

Tratto dall'omonimo romanzo di Sandro Veronesi.Nel cuore di questa storia dorme una bomba a orologeria di nome Belinda,la sorella di Metè che torna a Roma per il matrimonio dei genitori.I due ragazzi diversissimi fra loro,ma figli dello stesso padre,si conoscono appena e devono condividere per qualche giorno la casa di lei.Belinda diciassettenne sfuggente e luminosa,esce poco e vive senza preoccupazioni apparenti.Metè invece,profondo e responsabile,ha perso la madre da sei mesi e ha un rapporto conflittuale col padre Sergio,commentatore sportivo in una TV locale,uomo di cui non accetta le scelte di vita,soprattutto la decisione di risposarsi con la madre di Belinda.Metè,Belinda ma anche Damiano,Bruno,Beatrice e Sofia sono loro gli Sfiorati.Sono loro i giovani eroi di una generazione che cerca di vivere ogni cosa,di afferrare tutto ciò che gira intorno a loro:lo sperpero,il caos allo stato fluido,le rincorse metropolitane,il televisore perennemente acceso che che lancia i suoi riflessi in stanze piene di fumo.La storia mette in campo gli sbandati fratelli minori degli anni duemila,raccontandone il carattere liquido e accellerandone il destino.Sullo sfondo di una Roma mai così eterna,caotica e inattesa, intorno a loro amici in movimento continuo, e adulti sempre alla ricerca dei propri sogni. È l’energia che gli “sfiorati” spargono per la città, eroi di una generazione che ha avuto tutto, senza mai afferrare niente davvero.

 

                                                               VOTO 7

 

Ex:Amici come prima!

12.10.2011 15:52

regia:Carlo Vanzina

cast :V.Salemme;E.Brignano;A.Gassman;R.Menphis;T.D'Aquino;A.Foglietta

 

Commedia in puro stile Vanzina,ma a volte cambiare è un bene.

Diverse storie si rincorrono con il tema comune del tradimento e dell’abbandono. Un politico italiano arrivato al parlamento europeo inizia una relazione platonica con una donna che poi scopre essere il primo ministro di un paese Baltico, un architetto romano si innamora senza saperlo dell’avvocato che cura il divorzio della moglie, un marito appena sposato incontra nuovamente una fiamma del passato mai sopita, un uomo lasciato si finge psichiatra perchè innamorato di una paziente e infine un ragazzo rincorre le ragazze appena mollate perchè sono più facili da conquistare.
Arrivati alla 52esima pellicola della loro carriera i fratelli Vanzina per la prima volta girano il sequel di un film non loro. Questo Ex: amici come prima, segue infatti quell’altro Ex del 2009 firmato Fausto Brizzi, senza però ereditarne nulla. Un sequel spirituale o forse sarebbe meglio dire solo di marketing, perchè davvero le due opere non condividono niente: non hanno storie in comune, nè stile, nè prospettiva e lo dimostra la partecipazione di Alessandro Gassman (unico attore presente in entrambi i film) in un ruolo privo di qualsiasi connessione con quello interpretato sotto la gestione Brizzi.
I Vanzina fanno commedie brillanti sul tradimento e la difficoltà di convivenza dei sessi da ben prima di Fausto Brizzi (semmai è questo che imita i primi) e così non si adattano al format ma girano un loro classico film, lasciando che sia lo stile a prevalere sulle esigenze produttive. Il risultato quindi è in linea con la produzione più recente dei due fratelli (Ti presento un amico, La vita è una cosa meravigliosa) film dalla messa in scena meno curata e più sciatta rispetto al passato e fondati su intrecci dal sapore ottimista e positivo, che non mettono in scena i loro consueti mostri ma attenuano conflitti e spigolosità.
Sognano Frank Capra, Renè Clair e l’empireo delle commedie sofisticate, in equilibrio tra tradizione e modernità, in grado di parlare d’attualità ricorrendo ad espedienti classici ma raggiungono lo sketch da varietà televisivo. La scansione delle scene, come sempre nei loro film, somiglia più a gag ordinate intorno ad un canovaccio che un film composto di momenti comici e anche le stesse gag sono in linea di massima rielaborazioni di una comicità nota.
Gli ex dei Vanzina sono quindi più ordinari, meno patinati e più borghesi, nel senso classico del termine, rispetto a quelli di Brizzi, e soprattutto più politici. Con un segmento esplicitamente dedicato all’intreccio da relazioni sessuali e politica i Vanzina prendono una posizione inusuale per il nostro cinema. La critica ad una politica sgarbata e volgare, fatta di relazioni sessuali che hanno la priorità sui doveri è tanto chiara quanto educata, reazionari con garbo i due fratelli si posizionano come alfieri di una destra d’altri tempi (se mai è esistita), piena d’ordine e dignità ma lo fanno con il minimo della potenza narrativa.

 

                                                              VOTO  6

This Must Be The Place

08.10.2011 14:05

regia:P.Sorrentino

cast : S.Penn;F.McDormand;E.Hweson

 

Il percorso intimo di un personaggio indimenticabile.

Cheyenne è stato una rockstar nel passato. All'età di 50 anni si veste e si trucca come quando saliva sul palcoscenico e vive agiatamente, grazie alle royalties, con la moglie Jane a Dublino. La morte del padre, con il quale non aveva più alcun rapporto, lo spinge a tornare a New York. Scopre così che l'uomo aveva un'ossessione: vendicarsi per un'umiliazione subita in campo di concentramento. Cheyenne decide di proseguire la ricerca dal punto in cui il genitore è stato costretto ad abbandonarla e inizia un viaggio attraverso gli Stati Uniti.
“And you're standing here beside me/I love the passing of time/Never for money/Always for love /Cover up and say goodnight . . . say goodnight/Home - is where I want to be/But I guess I'm already there/I come home - she lifted up her wings/Guess that this must be the place".
(“E tu sei qui vicino a me/Amo lo scorrere del tempo/Mai per denaro/ Sempre per amore/Copriti ed augura la buonanotte/ Casa- è dove voglio essere/Ma mi sa che ci sono già/ Vengo a casa-lei ha sollevato le ali/Sento che questo dovrebbe essere il posto".)
Il testo della canzone dei Talking Heads che dà il titolo al film e riveste un ruolo in una delle scene più importanti e intense rappresenta una sorta di sintesi di questa opera in cui Sorrentino torna al lucido intimismo degli esordi sotteso costantemente da una ricerca che si fa percorso di vita. Cheyenne, rocker ormai in disarmo ma che un tempo fu celebre e di quella celebrità gode ancora i frutti economici, è un uomo che quotidianamente si trasforma in maschera. Quasi avesse bisogno di aggrapparsi a quel passato di gloria che ora non rinnega ma rifugge. Accanto a lui da 35 anni una donna solida che sa come essere sorridente argine alla sua pacata depressione. Al suo fianco un costante peso. Che sia il carrello della spesa o il trolley da viaggio (di cui sentirà magnificare l'innovatività creativa) Cheyenne si trascina dietro un bagaglio di situazioni irrisolte. Prima fra tutte la dinamica dei rapporti con la figura paterna. È un Edward Manidiforbice dei nostri giorni Cheyenne/John Smith. Un essere umano che il padre ha creato e, al contempo, limitato trasmettendogli inconsciamente un'ossessione che il figlio scoprirà solo dopo la sua morte. Il castello in cui Edward/Cheyenne si è rinserrato è il suo aspetto esteriore che al contempo lo lega al passato ormai amato/odiato e lo separa dal presente. Sean Penn è straordinario nel disegnare, ancorandolo alla realtà, un personaggio che potrebbe ad ogni inquadratura dissolversi nel grottesco o nella caricatura. Quest'uomo che fa di tutto per essere riconosciuto e, al contempo, nega pervicacemente con tutti la propria identità ha la complessità di quelle figure che si imprimono con forza nell'immaginario cinematografico. Un personaggio che, anche se lo nega (“Non sto cercando me stesso. Sono in New Mexico non in India”) compie un lungo viaggio per ri/trovare un posto dentro di sé.

 

                                                                 VOTO  8


 

L'Amore Che Resta

08.10.2011 14:14

regia:Gus Van Sant

cast : H.Hopper;R.Kase;M.Wasikowska

Il "maestro" Van Sant racconta lo splendore della mortalità e della giovinezza.

 

Enoch è un adolescente interrotto. Riemerso da tre mesi di coma, ha smesso di frequentare il liceo, si infila ‘listato a lutto' nei funerali degli altri ed è legato da profonda amicizia a Hiroshi, un giovane pilota ‘suicida' nel cielo del Secondo Conflitto Mondiale. A una cerimonia funebre il ragazzo incontra Annabel, con cui condivide i pochi anni, lo sguardo inquieto, lo splendore della mortalità e un dramma doloroso. Enoch ha perso i genitori in un tragico incidente, Annabel ha un cancro e una manciata di vita da vivere. Deciso a rendere indimenticabile il tempo che resta da abitare e sperimentare insieme, Enoch si vota all'amore e si apre alla vita. Una vita che chiederà inesorabilmente il conto ma che questa volta gli concederà, indulgente e misericordiosa, la bellezza del ricordo.
Rientrato nella provincia senza storia né paesaggio di Portland dalla San Francisco di Milk, eroe civile e leader del movimento di lotta per i diritti degli omosessuali nell'America degli anni Settanta, Gus Van Sant ancora una volta elabora la sofferenza profonda di giovani sensibili, fragili e sempre consapevoli. Consapevoli in Restless della propria mortalità, che sono in grado di simboleggiare e di pensare, costruendoci sopra filosofie, significati, ottimismi e finanche euforie. Intorno a due attori sorprendenti come Henry Hopper e Mia Wasikowska il regista americano produce una storia sentimentale compromessa dalla morte ma che proprio nella morte trova esistenza, eternità e ragione d'essere (vissuta). Evitando qualsiasi retorica e concentrandosi suoi vuoti emotivi che i suoi amanti riempiono differentemente (i libri di Charles Darwin, la battaglia navale), Van Sant lascia che siano i corpi a parlare e a parlarsi. La relazione sentimentale è il centro stabile del film intorno al quale l'autore dispone le cose che vuole raccontare: l'idea della morte che chiama alla vita, il senso del rito e la dimensione del ricordo. Enoch e Annabel sono la coppia di addicted che si abbandona alla morte, lambendola come un gioco dentro la notte di Halloween, rappresentandola nel salotto di casa, sperimentandola e facendone addirittura ritorno. Enoch, sopravvivendo ad Annabel, ne diventa simbolicamente la colonna sepolcrale su cui è scolpito il discorso funebre, che dentro un primo piano scorre le ‘fotografie' del loro amore e il valore che quel trascorso sentimentale ha espresso. Se gli adolescenti agiscono la morte, vale a dire pensano alla morte attraverso azioni e sfide, scoprono il fianco e offrono la grande chance, convinti in cuor loro di poterla battere, i protagonisti di Van Sant le danno ospitalità nel territorio dell'amore e dell'eros, ‘penetrandola', trapassando, sconfiggendo la propria effimera condizione e puntando dritto all'immortalità degli dei.
Come River Phoenix e Keanu Reeves prima di loro, i giovani protagonisti di Restless sono alla ricerca di un Graal affettivo che nasconde (anche qui) un genitore scomparso o dissimula una privazione. Come Sean Penn scelgono di essere eversivi a colpi di ‘dolci baci e languide carezze' dentro un melodramma misurato, senza eccessi e senza ridondanza, dove la morte sancisce l'impossibilità e insieme la possibilità dell'amore felice nel destino dei personaggi. Archiviando il maledettismo, lo scetticismo e il nichilismo materialistico dei suoi giovani ribelli, Van Sant guarda all'universo giovanile con lirico romanticismo, pedinando l'avanzare inavvertibile e assente di Enoch. Enoch addormentato nel sonno del coma, che vive di giorno un mondo notturno, che ha mancato la cerimonia funebre dei genitori e adesso ha bisogno di riparare. Imbucato nei rituali di cordoglio del prossimo potrà rivivere e riprodurre il proprio dolore personale, fino a perdersi nel ‘petto da uccello' di Annabel, fino ad amare da morire, fino a dimostrare che non esiste il nulla eterno ma un dolce domani. Dove lo precede solidale e complice il fantasma di Hiroshi, militare-martire e petalo di ciliegio caduto per il capriccio di un imperatore.

 

                                                                  VOTO  7


 

Carnage

29.09.2011 23:26

regia:Roman Polanski

cast:J.Foster,K.Winslet,C.Waltz

Probabilmente, Roman Polanski era il regista più indicato a trasformare in immagini la piéce teatrale “Il dio del massacro” di Yasmine Reeza. E non solo perché tra i grandi maestri in circolazione Polanski è quello con l’animo più teatrale, ma anche perché, a ben vedere, la presenza di protagonisti in spazi chiusi ed angusti è una delle caratteristiche ricorrenti di tutto il suo cinema fin dai tempi del folgorante esordio “Il coltello nell’acqua”. Se in “L’uomo nell’ombra” tale spazio circoscritto era rappresentato da un’isola, e ne “Il Pianista” da un ghetto, tanto per fare due esempi recenti, qui il luogo scelto diviene se possibile ancor più claustrofobico: un appartamento, anzi il salotto di un appartamento newyorkese tipicamente middle class.
La storia è assai semplice: due coppie di genitori si incontrano a casa di una delle due per risolvere in maniera civile, come si conviene, il litigio tra i rispettivi figli in cui uno ha perso due denti a causa di una bastonata data dall’altro. A dire il vero, il film inizia mostrandoci l’accordo amichevole raggiunto tra le due coppie. Tutto sembrerebbe finito, dunque, ma i formalismi borghesi impongono l’offerta di torta e caffè. Un invito all’apparenza innocuo, che porta però le coppie a riaprire la discussione e che le trascina in un duello verbale che da caustico e sottile diviene sempre più volgare e diretto. Pian piano la compostezza dei modi viene meno, facendo emergere il vero carattere di  personaggi troppo diversi tra loro – non solo sul piano caratteriale ma anche su quello sociale – ed in senso lato rivelando la vera natura dell’uomo. Si sviluppa così uno scontro su molteplici livelli (uomo/donna, cinico/idealista, alto borghese/medio borghese), all’interno del quale si creano improvvise ed inaspettate alleanze, magari dettate dalla comune passione per un buon whisky scozzese.  
Certo, il tema dell’ipocrisia e della normalità fasulla della borghesia dietro le quali si nascondono infelicità e frustrazioni non è nuovo, anzi. A fare di Carnage un (quasi)capolavoro sono perciò  il sorprendente uso dello spazio (merito di un montaggio che dà ritmo all’azione nonostante questa si svolga tutta in un unico ambiente), il rigore formale della regia, la brillantezza dei dialoghi e soprattutto un quartetto di attori in forma strepitosa. E se si è fatto un gran parlare a Venezia della meravigliosa prova di Kate Winslet (indiscutibile), sento il dovere di sottolineare la gigionesca performance di John C. Reilly, il cui personaggio vive la trasformazione più evidente e spassosa. Si, perché al di là dei temi trattati e di quel che vuol essere la morale, Carnage è anche e soprattutto un’opera divertente, capace di strappare risate vere grazie ad una serie di gag e sequenze la cui scorrettezza politica risulta avere anche un salutare effetto liberatorio.
Grandissimo film, confezionato in maniera impeccabile, stilisticamente perfetto ma non per questo asettico, da vedere più di una volta perché alcune battute meritano veramente di essere imparate a memoria. Ma va detto che è dai tempi de “La Nona Porta” che Polanski non sbaglia più un colpo. Per la gioia di tutti i cinefili.

 

 

                                                                                                       VOTO  8.5


 

Red Hot Chili Peppers:il nuovo album I’M WITH YOU

29.09.2011 23:20

Sopravvissuti a tutto,in puro stile L.A.

 

Mancano le melodie di Jonh Frusciante (ancora una volta uscito dal gruppo),sostituite dalle note di Josh  Klinghoffer.I RHCP hanno ricominciato ancora una volta da capo,in 28 anni di carriera hanno cambiato spesso il loro chitarrista senza mai risentirne troppo,anche gli assoli di Frusciante restano unici e inimitabili.I M WITH YOU subisce il fascino della chitarra e delle intuizioni musicali del nuovo chitarrista,fin dal brano iniziale:Monarchy of Roses che un basso molto funk.Ma  l ‘atmosfera generale pare quella di Tomorrow Never Know,il capolavoro dei Beatles ispisrato al libro sacro dei tibetani.Factory of Faith è un funk psicotico,mentre Brandan Death’s Song è una ballata austera (insomma,milioni di km. da Suck My Kiss e Hump de Bump),scritta in memoria dell’amico scrittore Mullen,scomparso l’anno scorso.In I’M WITH YOU non sono sempre dominanti le chitarre,come in Stadium Arcadium,ma è l’idea canzone che piò esplodere in passaggi strumentali funk-punk,a tratti disco-hardcore,in improvvisi squarci dove il basso di Flea e la chitarra di Josh dialogano come non  avessero mai fatto altro nella vita.Perchè qui si trova una versione inedita e conforme del suono marchiato RHCP,con percussioni e tastiere originali.Mancano i coretti e le melodie californiane di Frusciante,e Josh preferisce stendere lunghe campiture di colore,come il pittore astratto Mark Rothko,che far goccialare note e cambiare prospettiva alla melodia,alla maniera di Frusciante.Sorprende in fondo la voglia della band di scoprire nuovi territori senza snaturare il sound figlio di anni di jam infinite.Come in Did I let You Know,vicino alla musica africana,il brano Ethiopia è nel loro stile funk:avessero fatto un disco tutto così avrebbero spiazzato tutti.Ma questo è un inizio nel solco della tradizione.Come quella che vede Kiedis costruire brani basandosi su persone reali.Le liriche restano colloquiali,tanto che un emigrato messicano potrebbe sopravvivere un anno a L.A. utilizzando solo le parole imparate dai testi di Kiedis.Noi invece possiamo resistere con le canzoni di I’M WITH YOU fino al loro prossimo concerto.

 

Scritto da :Mariagrazia Giordano                              

                                                                                                      VOTO  8


 

Arctic Monkeys : SUCK IT AND SEE

29.09.2011 23:25

Cosa ne è stato degli Arctic Monkeys, vi chiederete voi che nei primi anni della band inglese pensavate che fossero il fenomeno più clamoroso della Terra? Erano giovanissimi, regalavano i propri demo masterizzati ai concerti, non avevano immagine e scenografia, solo e sempre pacca: pacca a buttare, senza appello, inequivocabile, che stare fermi non si poteva. Dopo due dischi così, immediatezza e randellate, i quattro sono andati in America, hanno cambiato tutto, si sono buttati con il terzo disco nel mondo riflessivo del deserto del Mojave, prodotti da Josh Homme (Kyuss, Queens Of The Stone Age), alla ricerca di quella che, dolorosamente, in questi casi si definisce maturità.

Suck It And See, il quarto album, è un ritorno a casa consapevole, di chi ha capito che i vecchi tempi dell’incoscienza, quando il successo andava più veloce della capacità del gruppo di accorgersene, sono passati; anche il bisogno del viaggio esistenziale di Humbug, la voglia di mollare tutto e ritrovarsi, non ha più senso. Con la leggerezza di un tempo, gli Arctic Monkeys cercano di integrare la forza del prima e la ricchezza del dopo. La pacca furiosa non c’è più: tornare a inseguire i singoloni da due minuti non avrebbe forse avuto senso in assoluto. Ma anche i chitarroni sono quasi del tutto scomparsi e quell’aria vissuta di Humbug è scivolata via.

Il disco vorrebbe essere molto pop, ma non lo è quasi mai. Questo perché ci sono alcune canzoni che funzionano, ma nessuna è una bomba atomica, e c’è qualche riempitivo molle di troppo. Funziona, quando funziona, per una certa normalità che si porta dietro: una citazione dei Beach Boys qua, una ballata romantica strappalacrime là. La voce di Alex Turner si è fatta morbida, ma al di là di una placida ascoltabilità da automobile, questo album è troppo esile per essere un punto d’arrivo.

 

                                                                                                 VOTO   7

 

Vinicio Caposella:MARINAI,PROFETI E BALENE

29.09.2011 23:24

In questi tempi di piccole fuffe che ci provano e singoli da carriere di fuoco fatuo, c’è chi decide, proprio per questo, di fottersene, e fare i dischi come se i dischi, e solo quelli, fossero ancora importanti. E allora Vinicio Capossela ha deciso di mettere in piedi un album titanico, gigantesco e inafferrabile come il grande leviatano. Si tratta di un concept sul tema del mare, delle onde, delle profondità abissali, di chi sul mare vive, ama, rischia la vita, batte le pinne nella schiuma e i remi sull’acqua. Il doppio album è stato registrato in giro, tra Milano, New York, Ischia,

Creta, Roma, Barcellona. Tra i musicisti, tantissimi, gente come Marc Ribot, Ares Tavolazzi, Greg Cohen.

È una stiva piena di casse che contengono le cose più diverse: si va dalla canzone stupidina sulle sirene alla teatralità messianica della caccia a Moby Dick, dall’Odissea ai pirati, alle poesie di Saffo, agli dei greci, Tiresia e la madonna dei naviganti. Vinicio non ha paura di essere romantico, di usare parole auliche, suonare lirico, ispirato, sopra le righe, sciocco e serio. È una forma di libertà buona, generosa, che tira dentro tutto, non si risparmia e se deve strafare lo fa con gusto. Ognuno si ricaverà un percorso personale di canzoni preferite tra queste 19, arrangiate e registrate con una cura e una ricchezza che, pure quelle, sembrano passate di moda. Marinai, Profeti e Balene è effettivamente, come si dice, tanta roba. Tanta che è difficile abbracciarlo per intero, come in passato si era fatto più agevolmente con dischi come Canzoni a manovella. Ma il naufragare, abbracciati senza fretta alla corrente, è dolce, vi assicuro, in questo mare.

 

                                                                                                      VOTO  8


 

Jay-Z & Kanye West : WATCH THE THRONE

29.09.2011 23:21

Due talenti fanno un capolavoro ?

 

Era proprio necessario? Infondo loro possono fare quello che vogliono .

E invece,hanno scelto di fare l’unica cosa che non dovevano fare : un disco insieme.Certo,ora almeno per qualche settimana il loro ego sarà soddisfatto ,il circo aprirà i battenti e il copione sarà rispettato. Eppure,non basta reclutare un gran numero di produttori (RZA,Pete Rock,The Neptunes) per poi mettere insieme dei pezzi così barocchi .Se non fosse per i loro nomi canzoni come LIFT OFF, guarda video nella nostra sezione (insieme a Beyonce,perché le disgrazie non vengono mai sole ,THAT’S MY BITCH o WELCOME TO JUNGLE passerebbero del tutto inosservate. In un concetto solo : tanto rumore e tanti soldi per nulla!

Scritto da:Mariagrazia Giordano

 

                                                                  VOTO 5


 

A Dangerous Method

29.09.2011 23:22

 

regia:David Cronenberg

cast:M.Fassbender,K.Knightley,V.Mortensen,V.Cassel

 

Zurigo 1904. Carl Gustav Jung ha ventinove anni, è sposato, in attesa di una figlia e affascinato dalle teorie di Sigmund Freud. Nell'ospedale Burgholzli in cui esercita la professione di psichiatra viene portata una giovane paziente, Sabina Spielrein. Jung decide di applicare le teorie freudiane sul caso di questa diciottenne che si scoprirà aver vissuto un'infanzia in cui le violenze subite dal padre hanno condizionato la visione della sessualità. Nel frattempo Freud, che vede in Jung il suo potenziale successore, gli manda come paziente lo psichiatra Otto Gross, tossicodipendente e dichiaratamente amorale. Saranno i suoi provocatori argomenti contro la monogamia a far cadere le ultime barriere e a convincere Jung ad iniziare una relazione intima con Sabina.
Non è difficile capire quanto questa sceneggiatura (che risale alla metà degli anni Novanta) e soprattutto questa storia con protagonisti che hanno rivoluzionato le scienze umane abbiano suscitato l'interesse di David Croneberg attento, come sempre, a v

 

icende in cui siano centrali la complessità dell'essere umano e il coacervo di sentimenti e pulsioni che ne promuovono l'agire. Non c'è carne esposta o martoriata in questo film e neppure la violenza che esplodeva improvvisa nelle sue due ultime opere. C'è semmai un ritorno all'indagine della psiche già affrontato in Spider sotto l'egida di un romanzo di McGrath.
Sul rapporto tra Sabina Spielrein e Jung si era già puntata la macchina da presa di Roberto Faenza quando girò Prendimi l'anima. Cronenberg assume la stessa prospettiva mostrandoci l'evolvere della relazione Jung/Spielerein ma entrando in profondità anche nel rapporto maestro/discepolo che si va costruendo tra Freud e Jung. Una giovane donna urlante riempie lo schermo e una carrozza nelle prime inquadrature del film. Quel grido progressivamente si placherà ma resterà sempre sottotraccia, pronto a riemergere. Perché a Cronenberg interessa analizzare ancora una volta la fragilità dell'agire anche quando, a livelli culturali elevati, si tenta di lavorare sullo smascheramento delle cause del disagio finendo poi con il precipitarvi. C'è un'inquadratura di Carl Gustav e Sabine sdraiati vicini sul fondo di un'imbarcazione. Sembrano prigionieri di una bara in cui cercano di allentare una passione che contrasta con il lavoro che compiono sui pazienti e con la stessa deontologia professionale. In questo film poi i segni dell'elaborazione delle pulsioni cercano di trovare un incanalamento nella parola. Non solo in quella detta in sede di analisi ma anche in quella, scritta, del carteggio intercorso tra i tre protagonisti. Se Freud ammise il contributo dato dalla Spielrein alla psicoanalisi, Jung non lo fece, ma anche nel suo caso l'apporto è innegabile. Gli splendidi titoli di testa e di coda ci ricordano come i segni dell'inchiostro, su una carta che assume la porosità della pelle, abbiano inciso profondamente sulla storia del Novecento passando attraverso le illuminazioni e le contraddizioni di tre personalità in costante ricerca.

 

Scritto da:Nicola Giordano       

 

                                                                                           VOTO  7.5