Politica

In Francia e in Grecia iniziano i venti di cambiamento. Autrice:Rossana De Lucia.


Un vento gelido inizia a colpire l'Europa.

Tutta Europa inizia ad avvertire un forte vento di cambiamento.In Francia Francois Hollande ha ottenuto ben due milioni di voti in più ripsetto al presidente in carica Nicolas Sarkozy,il quale non può quindi realizzare il suo sogno di venir rieletto alla guida dell'Eliseo.Distante anni luce dal forte consenso ottenuto nel 2007 e lontanissimo dai progetti di novità e rivoluzione statale che la sua legislatura si era prefissato.Ora la Francia deve anch'essa fare i conti con difetti congeniti e profondi che vanno aggrediti e risolti.Proprio la grande illusione di rivoluzionare la Francia,è stato il motivo principale della caduta di Sarkò.I Francesi non hanno perdonato il sostanziale fallimento,il personaggio Sarkozy è stato giudicato troppo istrione,troppo amante del sensazionalismo più che del pragmatismo , da molti ritenuto necessario per la soluzione dei problemi di Francia.Addirittura criticato per il suo eccessivo essere accondiscendente ai voleri della "insopportabile" moglie Carlà.

 

Le urne sono state impietose nei sui confronti,forse troppo dure,non badando ai pochi ma comunque innegabili meriti della legislatura Sarkozy,tra cui la riforma dello stato sociale che nel suo governo ha preso corpo e figura.Hollande ha trionfato alle elezione.E i suoi cavalli di battaglia sembrano però essere anch'esse pie illusioni.Come ad esempio abbassare l'età pensionabile,assumere molti nuovi insegnanti e aumentare la spesa pubblica per ridare respiro ai consumi.Tutte cose che potrebbero essere sbugiardate dai rigidi parametri europei e dall'aria di crisi , che consiglia una ferma austerity.Molti critici in Francia riconoscono che il nuovo presidente fa bene a combattere contro i rigidi parametri imposti dall'Europa , che acuiscono la recessione e la crisi,ma i rimedi presentati nella ricetta Hollande sembrano errati,ispirati a ideali keneysiani oramai poco attuabili.Con il forte rischio di accendere un vortice di recessione che partirebbe dalla Francia e in breve si estenderebbe in tutta l'Europa della Comunità Unita.

 

Nel medesimo periodo della Francia anche un'altra nazione della Comunità Europea è andata alle urne per le elezioni dei nuovi parlamentari.La Grecia.Era comprensibile una diminuzione dei voti per i partiti governativi,autori di rigide politiche per evitare il fallimento dello stato greco e ovviamente ,tutto è andato ad appannaggio dei partiti di opposizione o di anti-politica.Il crollo è stato totale,si è passati da preferenze che erano del 42% a stime del 13-20%.Davvero un cataclisma elettorale.Grandi e preoccupanti i consensi per i partiti estremisti,addirittura alcuni di ispirazione neo-nazista che urlano a gran voce l'uscita della Grecia dall'Unione Europea e il ritorno alla moneta nazionale.Ciò che fa più impressione è che il Parlamento greco risulta essere poco unito e molto frammentato politicamente,due aggettivi che non potranno mai garantire stabilità di governo e di decisioni,cosa di cui la Grecia ha enormemente bisogno in questo periodo.La situazione tragica della Grecia è frutto di una politica di eccessivo rigore e austerity in questi due anni,che ha messo in ginocchio la popolazione e i consumi e ha amplificato la recessione;il tutto unito a scelte politiche errate ed eccessivamente stataliste.

 

E' innegabile ed evidente che in Francia,in Grecia e tra poco in Germania e in Italia si assisterà ad una forte spirale anti-Europa.Tutti sono convinti che i perchè della crisi siano da ricercare nelle errate politiche europee e negli ottusi e rigidi criteri finanziari imposti a tutti gli stati membri.I partiti politici e quelli italiani in primis , devono accettare il loro fallimento,riprendere lo scettro della scena impedento ai Di Pietro e ai Grillo di turno di fare più danni della crisi stessa , con le loro idee antisistema e antipolitica.Iniziare subito con le riforme strutturali,allentare il rigore eccesivo e abbattere i vincoli castali e di posizione che fanno dell'Italia uno dei pochi , se non il solo paese moderno , ad avere ancora una connotazione di tipo corporativo.Sono decisioni gravi ed importanti ma ormai irrinunciabili,O si cambia o si crolla.La scelta sembra davvero chiara.

 

AUTRICE : Rossana De Lucia

 

 


 

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Guerra Fredda tra Pdl e Governo Tecnico.Autore:Nicola Giordano

C'è aria di battaglia e il Pdl non si tira indietro.

L'attuale situazione in casa del Popolo della Libertà è alquanto caotica.Da un lato si odono minacciose le parole al veleno del Premier Monti,piuttosto farneticanti,che addebitano la situazione di crisi mondiale ai precedenti governi,Berlusconi in primis;dall'altra gli esiti di certo non positivi delle elezioni amministrative,con alcuni passi indietro evidenti.In questo momento il partito fondato dal Cavaliere è scosso da venti di maestrale e necessita di una guida forte nel caos attuale.Come sempre ci si divide in falchi e colombe.Alcuni vorrebbero privare il governo tecnico dell'appoggio necessario a governare,altri pretendono dal segretario Alfano scelte più nette e decise , altri ancora iniziano a ipotizzare un tentativo di ricreare l'asse politico con l'Udc di Casini (approfittando della sua rottura con il cosiddetto Terzo Polo);alcuni,forse per beghe personali,sembrano volere lo scalpo del capogruppo alla camera Cicchitto.

 

Quella che però sembra oramai lampante è la fine dell'intesa con il governo dei tecnici.Rottura che le frasi di Monti sulle colpe della crisi hanno solo certificato e fatto emergere ma che esisteva già da mesi in seno al Pdl.Inutili le precisazioni del Professore , che in serata avrebbe riconosciuto al Cavaliere i suoi indubbi meriti politici in questi anni di governo.Di fatti sarebbe lo stesso Berlusconi ad aver deciso di rompere i rapporti,sottolineando la necessità di non ricevere altre offese o scortesie dal Governo e dai suoi ministri.Anche il delfino Alfano appoggia in pieno questa linea e già preannuncia battaglia parlamentare qualora l'esecutivo decida , sciaguratamente ,di toccare o cambiare la riforma della pubblica Amministrazione messa in atto l'anno scorso dal Ministro Brunetta.I Falchi del Pdl nutrono rancore verso Monti,al quale intimano di spiegare con precisione doverosa a cosa si riferissero le sue parole sulla crisi e sulle accuse mosse ai precedenti governi.La richiesta non è banale ma è formale,con una esplicita interrogazione parlamentare a firma di ben 40 esponenti Pdl.

 

Nell'atto si chiederebbe al Professore , come dovuto gesto di etica politica, di enucleare le motivazione per le quali i precedenti esecutivi siano stati definiti come causa della crisi attuale;crisi che manifesta invece un'origine complessa e planetaria,non certo nazionale.I parlamentari inoltre accusano Monti di criticare le passate politiche economiche dei Governi,più nei convegni e nei congressi che nell'aula di Montecitorio. Non solo.La richiesta è firmata da numerosi personaggi di spicco del Popolo delle Liberta,tra cui Brunetta,Gelmini,Meloni,Landolfi,Crosetto,Foti e Quagliariello.Nell'interrogazione i parlamentari invitano Monti a rammentare che la crisi finanziaria è stata autoalimentata da un lato ,dalle attività speculative a livello internazionale inerenti il debito pubblico italiano e dall'altro dalle scelte strategiche,spesso deficitarie dei grandi gruppi bancari,che una volta fatto man bassa degli aiuti statali per evitare crac e fallimenti vari,hanno abbandonato l'attività di credito puro,soprattutto alle aziende,per concentrarsi sulle operazioni di investimento ad alto tasso di rischio,gruppi bancari ai quali quasi mezzo governo Monti e strettamente collegato,volente o nolente.

 

Oppure , chiedono a Monti,se si riferisse con le sue parole a quei soggetti che hanno davvero innescato la crisi planetaria anni orsono,come i banchieri americani tipo Goldman Sachs, banca per la quale lo stesso Monti ha per anni lavorato. Anche sul clima strettamente politico l'aria è diventata irrespirabile.Alcuni parlamentari del Pdl hanno presentato un disegno di legge elettorale con la novità,almeno per l'80 % dei seggi,di usare le preferenze secche e utilizzare il premio di maggioranza anche per il Senato.Il disegno di legge proposto prevederebbe anche l'uso dello strumento delle primarie , per scegliere in modo diretto i candidati alle elezioni.Un pò come da decenni accade anche negli Stati Uniti.Si preannunciano quindi giorni di bagarre infuocata alla Camera,una sorta di duello fra Monti e il Pdl.

 

Un duello rischioso e pericoloso per il professore poichè, essendo il Partito del Cavaliere,maggioranza relativa in Parlamento,ilsuo Governo tecnico potrebbe d'un tratto trovarsi senza stampella a destra e il rischio di crollo sarebbe allora,inevitabile.

 

AUTORE : Nicola Giordano

 

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Il PDL ad un bivio decisivo. Autore:Nicola Giordano

L'ora di una scelta importante sembra essere giunta.

Il Pdl in avvenire deve andare incontro a scelte nette e precise.Prima fra tutte trasformarsi in una grande federazione,che tenga insieme e in maniera condivisa tutte le componenti del pensiero liberale:dalla destra dei movimenti sociali fino alle spinte riformatrici e liberal,compresi ovviamente gli ideali berlusconiani.Poichè molto probabilmente verrà instaurato in Italia un nuovo sistema elettorale,frutto di uno specifico accordo con Pd e Udc,un sistema di matrice tedesca molto simile al caro e amato proporzionale di decenni orsono,che garantirebbe un profilo bipolare solo leggermente individuabile,il Pdl per avere speranze di vittoria elettorale e tornare quindi alla guida del paese,dovrebbe federarsi in una coalizione di più partiti (grandi o piccoli che siano).

 

Ovviamente è inutile negare che una buona parte degli elettori del Pdl sono fortemente legati al carisma e al fascino politico del Cavaliere,che deve continuare a fare da traino in vista delle urne,fascino grazie al quale le aziende di sondaggio ritengono che da solo sia in grado di creare un consenso che di fatto, varia dal 16 al 21 per cento.Ma questi dati ottimi,da soli non permetterebbero al centro-destra di issarsi alla guida del paese;infatti Bersani con il suo partito,avendo un lascito elettorale che si muove tra il 18 e il 25 per cento,rischierebbe di essere l'ago della bilancia e ottenere il tanto ambito premio di maggioranza,che lo autorizzerebbe a indicare il futuro capo dell'Esecutivo del 2013.Pd ovviamente con quei numeri,buoni ma non ottimi,non potrebbe legiferare agevolmente alle Camere e sarebbe costretto quindi a un patto di governo o con l'Udc di Casini o con altre compagini politiche dalla dubbia compatibilità nel medio-lungo periodo.Una specie di accordo di larghe intese,ma che poco garantirebbe la governance in maniera stabile.Insomma un fantasma da Prima Repubblica.

 

Pierferdinando Casini poi, è davvero consapevole,a torto o a ragione,di poter essere fondamentale sia a destra che a sinistra con il suo eventuale appoggio elettorale.Da consumato professionista della politica non rende ancora note le sue intenzioni,ma attende fino all'ultimo per annusare l'aria elettorale e intuire la vittoria dove possa manifestarsi.Ma può essere che sia il suo un calcolo sbagliato.A Sinistra infatti ben due partiti hanno acquisito maggiore consapevolezza elettorale e sono il Sel di Vendola e l'Italia dei Valori e anche i Grillini sembrano aver consolidato una buona base di elettori,assestabile intorno al 7 per cento.

 

Qundi se Bersani e i suoi si accorgessero che alla loro sinistra si delinea un solido blocco di appoggio (Sel e IdV) che maggiormente li accomuna rispetto al pericoloso e viscido terzismo di Casini,potrebbero agevolmente abbandonare qualsiasi desiderio di legame con l'Udc.Il rischio per il centro-destra quindi è piuttosto concreto;rischierebbe di fare opposizione per un intero quinquennio.Con il nuovo sistema elettorale che si prospetta quindi,Casini rischierebbe di essere un semplice tappabuchi delle varie maggioranze che le urne produrebbero nel 2013.

 

Una volta all'opposizione poi,l'ulteriore rischio per il Pdl sarebbe quello di vedere trasmigrare parte dei suio deputati negli altri pariti di governo,ben richiamati o allettati da incarichi e poltrone varie,in cambio del proprio voto in aula.L'imperativo quindi è chiaro per il Cavaliere,trasformarsi in federazione e avere così maggiori chance di afferrare il premi di maggioranza.La fine del bipolarismo o comunque una sua forte attenuazione,non permette a Berlusconi di combattere da solo contro tutti.La Seconda Repubblica ormai non c'è più e quindi i cambiamenti sono necessari per poter sopravvivere nell'agone politico. Una forte e chiara alleanza tra Pdl e partiti dell'area liberal-riformatrice è necessaria anzi quasi doverosa.

 

Una federazione retta da un solo credo:l'applicazione del programma di Governo,fatta da personaggi nuovi e puliti,scelti per capacità e coraggio non certo per motivi di comodo.Una federazione nuova,fatta solo da chi intenda impedire alla Sinistra di bloccare il paese con le sue idee conservatrici e anti-liberali.Strizzando l'occhio.perchè no,anche alla ripulita Lega di Maroni.

 

AUTORE:Nicola Giordano

 

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Grillo.Il Re del populismo. Autore:Nicola Giordano

Grillini e Dipietristi:quando il demagogo si fa politico.

Di solito quando si ode il nome di Beppe Grillo,soprattutto da parte di politici di professione,l'opinione generalizzata è che si tratti di un buon comico,ma politicamente parlando spesso le sue parole sono inudibili,puro populismo alla matriciana.Addirittura il Presidente della Repubblica Napolitano,spesso accusato di non essere intervenuto a sufficienza durante l'epopea berlusconiana,ha deciso di intervenire a riguardo,evidenziando l'inutilità politica che spesso hanno i demagoghi di piazza.Che Napolitano facesse riferimento a Grillo era quasi evidente,tantè che lo stesso Grillo è intervenuto a riguardo affermando che gli uomini del suo movimento sono stati eletti dai cittadini,mentre Napolitano per nulla.Il suo Movimento non deve essere semplicemente derubricato come un fenomeno populista e basato solo sulla pura anti-politica,anzi in alcuni casi sembrava spinto da vero vento nuovo.Ma il crollo della politica di questi mesi è più un'autodistruzione che un merito dell'antipolitica.

 

Dando uno sguardo attento alla situazione della nostra politica nazionale è evidente che da un lato vi sono due grandi partiti:Pdl e Pd che danno pieno appoggio all'esecutivo tecnico di Mario Monti criticando a volte alcune scelte in contrasto con gli ideali della maggioranza dei loro elettori;nell'altra parte vi sono i terzisti guidati da Casini,che sembrano non semplicemente appoggiare Monti,ma essere ad egli legato a doppio filo,quasi spaventati dalla prova elettorale del 2013.In un ruolo opposto vi sono poi Lega Nord e Idv,la prima entrata in un momento di crisi molto duro,se non il più duro dalla sua nascita  e che paventa già un eventuale sconfitta forte alle prossime elezioni provinciali e comunali.Il resto del quadro politico,eliminado le croste poco utili rappresentate dai movimenti estremisti è ben simboleggiata proprio dai movimenti di anti-politica,nei quali bisogna iscrivere oltre a Beppe Grillo e Di Pietro anche tutti quegli elettori che decideranno di non esercitare il diritto di voto alle urne prossime.

 

Idv e 5 Stelle spesso sembrano sfidarsi a chi insulta di più la politica in genere,nonostante abbiano a listino ben 24 deputati e 13 senatori e circa 400 eletti nei vari consigli comunali sul territorio nazionale.Spesso si sentono parole edificanti come il fatto che si tratti di movimenti civici,non fatti da politici e per la politica,ma solo ed esclusivamente per applicare in concreto un progetto riformatore e modernità.Non vogliono essere definiti partito,ne tantomeno avere capi,segretari o leaders.Ci si candida solo per ideale e non per interesse o per carriera politica.Cio detto,sembra comunque strano che alcuni dei vecchi iscritti siano proprio stati esclusi dal movimento su ordine di Grillo e con richieste legali.Il quesito però sembra essere un altro.E' davvero concreto e  realizzabile dar vita a un movimento che si identifica semplicemente per ciò che Non è,non per ciò che cerca d'essere o di diventare?

 

L'ultima grossa gaffe di Beppe Grillo è davvero pesante,paragonando lo Stato alla Mafia,anzi elogiando quest'ultima poichè non strozza la gente ma al massimo chiede il pizzo ai commercianti;il problema degli anti-politici è proprio questo,non si sa più il limite a cui tali personaggi possano arrivare con il loro livore politico.Grillo inoltre si era reso protagonista anche di altre opinioni in passato,criticate dai suoi stessi sostenitori,come la comprensione per la Lega e per il suo modo di spendere i rimborsi elettorali.Senza scordare la dura critica a Monti e al suo eccessivo rigore,che secondo Grillo,farebbe tornare voglia di riavere il Cavaliere in sella al Governo,visto che la scelta di Monti sarebbe e forse lo è,una scelta fatta per compiacenza europea più che per reale bisogno politico.Se le elezioni fossero domani,il Movimento dei grillini si assesterebbe intorno al 8%.Ma come detto,del suo programma si sa quasi tutto quello che NON va e NON vogliono,ma poche e davvero nebulose sono le idee e le proposte politiche di Grillo ed i suoi.

 

Urlare insulti e chiedere l'arresto di tutta la classe politica attuale è davvero poco per presentarsi agli elettori con decenza , chiedendo la loro fiducia.E si.C'è davvero un limite anche alla stupidità di molti italiani.

 

AUTORE:Nicola Giordano

 

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L'Italia fra tasse presenti e angosce future.Scritto da:Nicola Giordano

Il futuro politico italiano,tra ansie e strategie.

Ad un certo punto,anche ai più schierati sostenitori delle politiche del governo tecnico inizia a serpeggiare un dubbio.Ma sarà davvero questa la ricetta giusta?Con una produzione industriale ai minimi storici,con l'inflazione che galoppa verso vette mai esplorate,possibile che l'aumento di tasse sia la soluzione più utile?Sembra sempre più reale lo scopo per cui siano stati invocati i tecnici al governo:alzare la pressione fiscale.Cosa che se fosse accaduta ad opera di un partito politico,avrebbe significato la fine del consenso elettorale per gli sfortunati politici di turno.

Le ultime novità fiscali sembrano davvero angoscianti.Tassare le borse di studio,tassare il possesso di animali domestici o addirittura tassare l'uso di sms tramite cellulari.Davvero tanta,anzi troppa la fantasia dei tecnici nel succhiare nettare ai malcapitati cittadini di turno.Per non parlare della possibilità,già preannunciata,di aumentare le accise sulla benzina di circa il cinque per cento in caso di necessità,accompagnato da un sempre salutare aumento dell'Iva e della tassazione locale.Sicuri che sia la strada giusta?

Le prime risposte appaiono davvero terrificanti,ci sono imprenditori e cittadini che si suicidano per le tasse,alcuni addirittura dinanzi alla sede della regina delle riscossioni,Equitalia,le banche sembrano aver deciso di chiudere il rubinetto del credito alle aziende,dopo aver ottenuto gli aiuti di stato per non fallire miseramente;a ciò si aggiungono le sempre più preoccupanti e farneticanti parole della ministro Fornero,che sembra non avere il contatto con le difficoltà della vita reale dei lavoratori.Ancora più allarmanti sono le preoccupazioni di Monti,che ultimamente annuncia sempre più spesso che in caso di difficoltà o mancanza di convinto appoggio è sempre pronto ad abbandonare la nave in avaria,magari al primo Cavaliere ch si faccia vivo.

E' paradossale che il peso del debito pubblico,enormemente foraggiato negli anni 70 e 80 per sostenere i privilegi dei lavoratori di allora,oggi sembra andare a pesare solo sulle future generazioni e per giunta senza essere servito a garantire comunque un futuro migliore.Le parole di Mario Monti,secondo cui un posto fisso non è la vera soluzione dei problemi,anzi spesso è meglio cambiare,sembrano non aver fatto presa sui cittadini e sui precari di nuova generazione.E sinceramente,inizieremmo a preoccuparci,se fossimo nei tecnici,al reale parere dei cittadini.Parere verso il quale la squadra di governo sembra non essersi mai confrontato.Il concreto potere del Presidente del Consiglio salvatore dei destini italici è meno forte di quanto si cerchi di camuffare.Di continuo egli è e sarà esposto all'appoggio presente o assente dei principali partiti politici.

Partiti che in caso di insostenibile malcontento popolare saranno sicuramente i primi a cavalcare l'onda populista e abbandonare Monti al suo destino.E' la solita vicenda tutta italiana,che politicamente,si ripete dall'unificazione fino ai giorni nostri(con la sola eccezione del periodo del regime fascista).Quando emergono le difficoltà,ancor più se immani,i politici,sinistra in primis,sono i primi a scaricare le colpe e a fuggire.Cercando di fare chiarezza massima,l'Italia è in un vortice recessivo che coinvolge più o meno tutta Europa,nel lungo periodo bisognerebbe far diminuire notevolmente il debito sovrano,altrimenti si rischierebbe l'onda speculativa sui mercati,soprattutto da parte degli investitori dei paesi più avvantaggiati economicamente.Insomma sembra di essere sull'orlo del burrone,con un Presidente del Consiglio,che,in modo inesorabile ogni giorno inizia a indebolirsi e quindi a dare instabilità verso l'esterno.Non scordiamo cosa è successo al governo Berlusconi,che seppur avesse dato seguito alle ricette economiche suggeritegli dalla Banca Europea e dal Fondo Monetario Mondiale,a causa dell'instabilità interna dava un'impressione di precarietà politica verso l'esterno,seppur in possesso di una salda maggioranza alle Camere,che lo ha indotto alle dimissioni.

Questa vicenda potrebbe riproporsi da un momento all'altro.Non rassicuri la presenza del PD nell'appoggio all 'esecutivo tecnico.La sua presenza potrebbe essere uno strano avvertimento,una specie di cavallo di Troia pronto a ricollocare al vertice politico personaggi da sempre usciti sconfitti dalle dispute elettorali,Casini e Veltroni in primis.Da ciò non si può nemmeno escludere un provvidenziale ritorno del Cavaliere in caso di fallimento dei tecnici,come capo di Governo o come Presidente della Repubblica,soprattutto alla luce dei sui recenti e assordanti silenzi,che sembrano avere un nonsochè di strategico.I partiti politici maggiori quindi,sembrano tramare nel buio,come Carbonari,pronti a rigettarsi nell'agone qualora,speriamo di no,le rigide e sanguinarie (fiscalmente parlando) ricette di Monti,debbano rivelarsi fallimentari.

L'eredità però potrebbe essere pessima.Un paese allo sbando,con un'economia ferma a venti anni fa.L'angoscia,di cui sopra,inizia davvero a diventare enorme.

 

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Tutti contro Monti.Scritto da:Rossana De Lucia

Tolleranza e fiducia.I veri mostri di questo governo.

A differenza delle lezioni a scuola,dove ogni singolo allievo segue con passione e disciplina i propri insegnanti o professori dir si voglia,oggi invece,con gli insigni dottori al governo,il discorso sembra essere davvero cambiato.In questi mesi in cui ogni cittadino è ricoperto di imposte e aumenti dei tipi più vari e fantasiosi,in cui i leader dei partiti spesso si trovano ad abitare in attici regalati da chissà chi o gestiscono in modo privato soldi pubblici,le parole dei vari ministri tecnici,Fornero in primis , sembrano davvero paradossali e scese dal cielo.Pure Monti spesso e volentieri si lancia in frasi e discorsi pubblici che invece di incoraggiare o dare ottimismo per la ripresa economica inneggiano solo al rigore e alla fermezza,da bravo bocconiano severo.

 

Infatti,i cittadini sembrano già stanchi della sua eccessiva seriosità,da quando è al governo la fiducia personale del capo dell'esecutivo tecnico è crollata del 25%,davvero non male in pochi mesi.Sembra davvero che l'idillio iniziale sia già terminato e superato il pericolo del fallimento finanziario dello stato,per il quale Monti era stato catapultato in politica,ora i cittadini abbiano paura del fallimento delle loro casse o dei loro conti corrente.La tolleranza,che in passato ha spinto gli elettori ad accettare politici dalle capacità e dalle carriere poco illuminate,ora sembra terminare e a farne le spese per primi,sembrano essere proprio i tecnici del governo,sempre più visti come persone staccate dalla realtà e dalla vita quotidiana delle persone.E' questa l'accusa più cocente.
 

E' vero che i cittadini italiani sembrano spesso non richiedere troppo dai loro leader,anzi,spesso e volentieri sono sempre pronti a proteggerli anche quando il caso non lo richiedeva,l'ammirazione e il carisma che gli elettori del Pdl hanno verso il Cavaliere ne è un fulgido esempio.Esiste però un limite,una specie di barriera da non tradire mai.Il principio del "dare per ricevere",una specie di tacito accordo tra elettori e politici.La politica ad esempio,aumentava le tasse e i tributi,ma dava in cambio servizi e privilegi ai tassati,introduceva il canone Rai,ma chiudeva spesso un occhio se quasi nessuno lo pagava nella realtà.Discorso analogo per l'Irpef,l'Iva o l'Ici,tutte tasse sacrosante e giuste,ma con le quali lo stato forniva servizi o comunque non aggrediva il cittadino come una preda da dissanguare con avidità;anzi anche se populisticamente,alcune di quelle amate imposte venivano anche soppresse (Ici).

 

In questo periodo invece,non solo si confermano le tasse esistenti,ma addirittura o le si aumentano o se ne introducono di nueve ed assurde spesso e volentieri,pur di fare cassa;e ciò che colpisce di più è il metodo rigido,freddo e distaccato con cui tali obblighi tributari si pretendono da una popolazione che vive oramai da un anno in un clima di totale recessione e crisi generale.Sembra davvero di assistere ad un soppruso e i suicidi di imprenditori in difficoltà,aumentati in questi mesi sono emblematici.Per troppi anni l'Italia ha vissuto di assistenzialismo ad oltranza e di lascivia a livello fiscale.Ora rimangiarsi tutto questo in modo netto e brutale può solo causare l'indignazione di chi da tali sistemi è vessato più di altri,dipendenti in primis.

 

La pretesa è forte e inamovibile da parte dei professori del Governo,senza badare alle difficoltà recessive ne alla scarsità di servizi che in cambio vengono forniti.L'impoverimento del cittadino,ormai irrefrenabile,potrebbe far esplodere il malessere sociale,una specie di polveriera che il Cavaliere in questi anni di governo,anche se tra bluff e critiche era comunque riuscito a tenere sottocontrollo.Un senso di angoscia sembra attanagliare tutti,lavoratori,giovani e pensionati.Un senso di beffa,che è inutile tentare di celare.I cittadini iniziano a prendere coscienza,la rabbia sociale sembra montare,la voce delle proteste comincia ad aumentare.Tutti,ma proprio tutti,dalla destra alla sinistra sono prossimo a ritirare la loro fiducia in questo esecutivo tecnico.La speranza quella,era già evaporata da tempo.

 

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Rimborsi ai partiti,nessuno vuole rinunciare.Scritto da:Nicola Giordano

Un'abitudine durissima a morire.

Strano ma vero.Ieri i vertici dei tre principali partiti che appoggiano il governo tecnico hanno deciso all'unanimità.Nonostante la quantità esagerata dei rimborsi elettorali previsti,essi non hanno intenzione di  rinunciarvi per nulla,anzi sono soldi sacrosanti.Anche se i cittadini vorrebbero l'opposto,anche se i soldi di tali rimborsi vengono gestiti in malo modo,creando fondi neri e privati,acquistando immobili,o usati per motivi familiari o affaristici,loro non cambiano.Guai a chi tocchi i i rimborsi.Le uniche novità proposte sono una maggiore trasparenza e un maggiore controllo a riguardo,anche attraveso internet,perlomeno solo per i rimborsi ottenuti a partire dal 2011.Giorni e giorni di discussioni e dibattiti hanno partorito il classico topolino.

Nulla cambia,l'ammontare dei rimborsi resta identico esagerato e quasi immorale rispetto ai reali costi dei partiti.Tutto come il passato,anche se hanno pesato sulle casse statali dal 1995 ad oggi per ben 2 miliardi di euro.Qualcuno aveva proposto almeno di restituire,viste le difficoltà economiche dello Stato,almeno l'ultimo versamento dei rimborsi ottenuti per le ultime elezioni,che comunque ammonta a circa 110 milioni di euro.Ma niente di niente.Da questo orecchio i politici sembrano proprio non sentirci.Quei soldi sono nostri,sembra di sentire da Montecitorio.Il bonifico dell'ultima parte del rimborso verrà solo posticipata di tre mesi e il responsabile del bilancio Pd,tale Misiani,sottolinea che se qualcuno,vedi Di Pietro vuole rinunciare,invece di sbandierarlo solamente,lo faccia in concreto e ceda tali somme.L'unica reale novità a riguardo fa riferimento alla creazione di un organo di controllo specifico formato dai presidenti della Cassazione,Corte dei Conti e Consiglio di Stato, che si occuperanno di verificare ogni anno il modo in cui tali rimborsi vengano usati dai partiti.

Una sorta di revisori contabili.Almeno questo era un minimo passo da fare,per calmare lo sdegno popolare a rigurdo e non rischiare che i politici venissero davvero sollevati di peso dalle poltrone comode su cui sono inchiodati da anni.Le sanzioni in caso di uso improprio dei rimborsi saranno ammende pecuniarie,pari anche a 3 volte le somme utilizzate illeggittimamente dai partiti.Inoltre,per non indurre i partiti a compiere operazioni finanziarie e dal carattere speculativo con tali somme elargite, viene imposto di investire solo e in modo esclusivo su Titoli di Stato e comunque ogni offerta o finanziamento privato al partito,se superiore a cinque mila euro dovrà essere comunicate prontamente e se maggiori a cinquanta mila saranno invece visionate direttamente dalla suddetta Commissione.

Queste poche novità normative,secondi i vertici dei partiti di maggioranza,saranno accorpate in un mega-emendamento che verrà presentato a Camere e Senato durante le fasi si votazione per il prossimo Decreto in materia fiscale,in calendario tra poche settimane,anche forzando un pò le procedure,visto che il termine perentorio per presentare emendamenti sarebbe già giunto da pochi giorni.I partiti politici sembrano esultare con innaturale gioia.Alcuni vedi Pd e Pdl ,evidenziano che si tratti un intervento doveroso,ma che tutela la trasparenza e l'equilibrio complessivo,sulla scia dei medesimi sistemi di rimborso usati in mezza Europa;gli esperti del Terzo Polo,invece,sottolineano che i rimbrosi sono vitali per la politica,che non possono essere soppressi,forse solo un minimo diminuiti.

Già proprio un minimo,visto che spesso sono dieci volte superiori alle reali spese sostenute in campagna elettorale dai partiti.Per non suscitare già altra indignazione fra gli elettori,i partiti corrono a nominare revisori e contabili pronti ad analizzare e certificare la regolarità dei loro ultimi bilanci,quasi a voler tenere buoni gli elettori che iniziano ad avere forme di rabbiosa alterazione verso i loro leader.Ripetiamo,un accordo poco utile.Perchè in primis il volere referendario aveva anni fa abrogato i finanziamenti pubblici ai partiti,ma la casta in fretta e furia,di notte introdusse la figura dei rimborsi elettorali.Ecco allora,se trattasi di rimborsi,questi dovrebbere coprire e quindi rimborsare le spese dei partiti,non certo eccedere di molto tale somme,così facendo assumono la forma proprio dei finanziamenti pubblici.

Questo si che è irregolare,anzi incostituzionale;altrochè revisori e bilanci.La questione è talmente chiara e cristallina da sembrare falsa.Ma invece no.E' tutto vero.

 

Autore:Nicola Giordano

 

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De Magistris:tra strategia e abuso d'uffico. Autore:Nicola Giordano

Continuano le vicende poco chiare dell'ex magistrato napoletano.

All'epoca in cui Silvio Berlusconi non era divenuto la persona più intercettata d'Italia. Luigi De Magistris e Gioacchino Genchi erano, nello specifico, il giudice e “l'esperto informatico” maggiormente celebri in Italia. Siamo negli anni 2007-2009: nessuno può sfidare o mettersi in gioco con i due segugi del Tribunale di Catanzaro soprattutto per l'odio che essi nutrono verso “poteri forti” Loro “non hanno riguardo per nulla e nessuno”. E per tale motivo i files di centinaia di conversazioni intercettate e i nominativi di tutti gli indagati dalla procura finiscono misteriosamente alle redazioni dei giornali nazionali.Tutti i giornalisti sembrano impazzire per queste inchieste che sembrano riguardare un pò tutti nel mondo politico,spionistico e della stessa magistratura.Tutti presenti nei fascicoli del giudice che di li a poco diverrà celeberrimo.Si attende solo che l'inchiesta sia chiusa per poter poi inizare a far crollare l'intero palazzo delle corrotte istituzioni nazionali e non.

Tutta "Mani Pulite" è sorta grazie alle parole di Mario Chiesa. Anche in questo caso,la nascita dell'indagine lucana e di quella che il duo di eroi di Catanzaro conferma essere la nuova Mani Pulite della Seconda Repubblica, c’è Tonino Saladino, industriale di Lamezia Terme definito dall’indagine “Why not” come una sorta di incrocio principale di “un sistema criminale” ramificato in ogni settore dello Stato.In definitiva, oltre a donare ai cari compagni giornalisti di Annozero e del Fatto quotidiano grandi ascolti e grandi vendite del quotidiano, quale è stato l'esito di un’indagine immensa, che ha causato notevoli conseguenze a livello politico  e ovviamente dato grande visibilità al prode Giggino?Una poltrona ben remunerata al Parlamneto Europeo,e poi la sedia addirittura di sindaco di Napoli, e infine l'inizio di una lotta interna al partito Idv con Di Pietro e ora l'idea di creare il cosiddetto “partito dei sindaci”, da presentare forse come soggetto autonomo in chiave politica nazionale.

Esulando dalla strategia politica , riguardo i risulati prettamente giudiziari, “Why not” pare davvero uno dei tanti flop di cui è ben ricca la carriera di De Magistris pm: tutto si conclude con l'ovvia condanna di Tonino Saladino che si era auto-denunciato e dell’ex governatore calabrese del centrosinistra Agazio Loiero.Quattro anni al Saladino, per associazione a delinquere e dopo che da tale richiesta l'industriale era stato prosciolto in primo grado. E un anno al secondo, per abuso d’ufficio, anche se in primo grado Loiero era stato anch'egli prosciolto. Davvero molto poco  se ricordiamo che davvero immane era la mole di carte e di indagati sputtanati su tutti i giornali all'epoca,e invece solo due sentenze di colpevolezza e per giunta in Appelo,e che hanno il fondato pericolo pure di essere cassate in Cassazione per una serie di vizi ed errori procedurali dello stesso De Magistris,Ma, soprattutto, si è dato vita ad un conflitto  tra magistrati (quelli di Catanzaro e Salerno) che ha prodotto notevole fango e indignazione verso due importanti procure del Sud e una pesante critica,ovviamente scevra da sanzioni disciplinari per amor di casta,da parte del Csm all’azione del Pm napoletano De Magistris.

Sorpresa finale, dopo aver riposto la toga nell'armadio e dopo che la poco gloriosa carriera di giudice volgeva al termine, adesso l’ex pm e l’ex consulente (ritornato ad esercitare la professione di avvocato dopo essere stato cacciato dalla Polizia per inosservanza continuata dei doveri di funzionario) sono chiamati in tribunale per il reato  “abuso d’ufficio”. L’accusa, molto infamante per un sostituto procuratore,ritiene che De Magistris e Genchi avrebbero compiuto e usato,violando la legge ripetutamente, le intercettazioni di numerosi parlamentari e vertici delle istituzioni nazionali,il tutto senza autorizzazioni Da tale accusa, raccolta in un grande fascicolo,inizierà un procedimento penale a Roma il 17 aprile;vedremo se i vari Santoro e Travaglio o chi per loro sbraiteranno e attaccheranno in Tv gli indagati del caso,sebbene loro calorosi amici,ma pur sempre soggetti che dalle carte,sembrano aver operato in barba alla legge e alle regole di uno Stato democratico.La curiosità è davvero grande.

 

Autore:Nicola Giordano

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L'Indecenza delle Fondazioni Bancarie.Scritto da:Nicola Giordano

05.04.2012 10:51

La solita e vergognosa anomalia tutta italiana.

Il grande statista Camillo Benso di Cavour quando decise di dare una  svolta  all' economia  piemontese  di  cui  reggeva  il  governo , decise  fermamente di eliminare tutti i privilegi delle fondazioni ecclesiastiche,che per motivi fiscali e finannziari  gravavano  le  casse  dello  Stato  sabaudo. Le fondazioni bancarie rappresentano la piaga privilegiata dei tempi moderni.Sotto la scusa della funzione sociale questi enti , anzi  in  alcuni  casi veri colossi economici,finiscono col godere di immani privilegi e con l'avere un enorme peso  soprattutto  a  livello  di  influsso  politico. Riottenere tutti i beni immobili spesso ad esse donati dallo Stato,già rappresenterebbe una forta diminuzione del debito  pubblico  e  eliminare  i  privilegi  di  cui  esse  godono  servirebbe  a  tagliere  il  ruolo  di collegamento politico che spesso queste hanno.

Questa tematica è comunque all'ordine del giorno e numerose sono le proposte di legge  in  Parlamento  per  sopprimere  questi  enti  anomali, tipicamente italiani,dove la politica finisce con l'influenzare indirettamente il settore bancario senza che però tali enti siano sotto il controllo pubblico.In Italia esistono 88 fondazioni con queste caratteristiche con patrimonio totale di circa 59 miliardi e sono totalmente dispensate dalpagamento di tributi sui loro immobili oltre a generare guadagni ingenti con le loro operazioni finanziarie.Tutto  questo  in  un  momento  cruciale , dove  il  Governo  tecnico  ha  aumentato  l'ammontare dell'imposta Imu che grava sui cittadini, rischia  di  fomentare  la rabbia sociale di molti.Una rabbia che finisce con l'essere indirizzata non verso chi elude o evade le tasse,ma verso il   sistema bancario che in questo governo di professori,non solo è ben rappresentato,ma a quanto pare anche ben tutelato.Alcuni strenui difensori del Governo sottolineano che si tratta di una specifica legge che permette questa totale esenzione di tasse sugli immobili a vantaggio delle Fondazioni,ecco allora se non  abrogare  la  legge,servirebbe modificare la denominazione di enti non-commerciali,visto che generano ingenti somme come profitto proprio.

Rivedere quindi la vecchia legge del '98 voluta dall'allora ministro Azeglio Ciampi.Si tratta quindi di una vera disputa in punta di diritto e non è neppure nuova come vicenda,visto che da  anni sono  numerosi  i  procedimenti  aperti  dalla  Pubblica  Amministrazione  verso  le  Fondazioni  Bancarie  inerenti  ad  altri eccezionali privilegi,come gli sconti Ires o le esenzioni di circa l'11% sui profitti annuali dei singoli soci.Questi fortunati enti vengono accusati dalla Pubblica Amministrazione di non poter godere di tali privilegi in quanto non  sono specificatamente istituti di studio,istruzione o centri culturali e letterari,ma svolgono un'attivita economica che genera guadagni  evidenti  e  notevoli  e solo saltuariamente promuovono tali meritorie attività;anzi gestiscono spesso intere quote partecipative in S.P.A. e tale situazione è una vera e propria attività di matrice commerciale,cosa che la legge vieta.

Una decisione della Suprema Corte nel  2010  ha evidenziato che le Fondazioni Bancarie nascevano per svolgere un'attività collegata alla promozione e alla diffusione del sistema creditizio italiano  e  che  le  eventuali  esenzioni  fiscali  per  gli scopi sociali dell'ente dovevano  avere  un  carattere  derogatorio  ed eccezionale non certo sistematico.Un altra dura critica al sistema delle  fondazioni  arrivò  anche  nel  2005 quando la stessa Cassazione accusò la Banca Popolare di Firenze di aver violato le norme UE in  materia  di  aiuti  di  stato,avendo usufruito dei privilegi connessi alle fondazioni,privilegi non accettabili in quanto tale fondazione compiva operazioni inerenti la compravendita di beni mobili,immobili,azionari e finanziari,cosa non ammessa in quanto la fondazione diveniva un vero operatore economico in concorrenza con gli altri operatori.

Quindi si evinceva chiaramente che,seppur non  avendo nel loro statuto indicazione di società lucrativa,ma svolgendo attvità economiche in concorrenza con altre società, la norma Ue sugli aiuti di stato  era  da  considerarsi  applicabile . Come  molti  auspicano  a  breve  servirebbe  una  decisione  coraggiosa  e forte,tentare cioè di colpire direttamente il ricco patrimonio di tali enti.Un patrimonio accumulato non conil  risparmio, come  accade per i  cittadini  ma  con operazioni e attività finanziarie e con decisioni e scelte strategiche dei vari consigli di amministrazione.Una tassa di  tal  tipo  permetterebbe  un  passaggio diretto di tale denaro nelle casse dello Stoto con immediata diminuzione in percentuale del debito pubblico.

Perchè ciò non accade?Sarà mica che perchè molti membri di questo governo di professori  insigni  erano  o  sono in  parte  ancora  collegati   al    viscoso universo del sistema bancario e delle stesse fondazioni?A pensar male spesso si indovina.

 

Autore: Nicola Giordano

 

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Per il Governo vicina l'ora X. Scritto da:Rossana De Lucia

02.04.2012 11:18

Monti ribadisce l'importanza del momento.

«Se l'Italia non vuole il cambiamento, potremmo anche andare via». Nel momento in cui inizia a scatenarsi la guerriglia sulla riforma del mercato del lavoro,con le sigle sindacali pronte a scendere in piazza ogni giorno se necessario e i vari partiti politici pronti a presentare centinaia di emendamenti appena il percorso legislativo inizierà alla Camera, il professor Monti dal suo tour orientale in Corea,esprime parole di fuoco che sanno di minaccia. «Se il paese con tutte le sue componenti,sociali e sindacali ritiene di non volere la riforma del lavoro che stiamo per produrre,allora saremo ben disposti a farci da parte senza dover tirare a sopravvivere fino al 2013.

Poi evidenzia che il paese «si è dimostrato più sveglio e attivo di quanto si dipingesse» e quindi occorre portare a compimento le riforme. Quindi sottolinea che la genesi dell'esecutivo tecnico è stata caratterizzata da una chiara missione:compiere una forte attività di riforma del paese,facendo gli interessi di tutti,e che se tale scopo non verrà raggiunto non avrà nemmeno natura di esistere lo stesso governo tecnico.Monti intende sempre e comunque differenziare il suo operato da quello di un comune politico di professione e infatti ripropone e non riconosce come sue le parole storiche che un insigne politico del passato quale il Divo Giulio Andreotti spesso pronunciava:meglio tirare a campare che tirare le cuoia.Lui ciò non ha alcuna intenzione di assecondare.

Dopo le sue visite ufficiali in Canada e in Oriente il professore avverte che gli invistitori di tali paesi che intendono raggiungere l'Italia per iniziare loro attività nel nostro paese,hanno grande curiosità e voglia di conoscere se i loro investimenti verranno o protetti e incentivati dal governo nazionale,o se l'arretratezza delle nostre strutture resterà tale. La loro paura coinvolge anche il dopo 2013.Temeno cioè che con il ritorno della vecchia politica ci sia l ritorno delle vecchie malattie,come la presenza costante e infettiva della politica nei settori economici.Non solo.Monti evidenzia come la maggioranza della popolazione,abbia compreso il momento difficile e si sia resa disponibile pure a sopportare alcuni interventi pesanti,sul piano fiscale e non solo,proprio perchè li reputa fondamentali per la stabilità e la ripresa economica.

Quindi il futuro ritorno della politica dovrà essere diverso dal passato,ben cosciente che i governati ora esigono un atteggiamento ben diverso dai governanti.Il Professore accetta un certo calo di consenso avvenuto negli ultimi giorni proprio in concomitanza con decisioni forti e impopolari,ma sottolinea che il momento necessita di tali decisioni dure anche se il peso delle responsabiltà per una nazione intera è forte e a volte spaventa.Sul mercato del lavoro,per dare più velocità,si sarebbe potuto usare lo strumento del decreto-legge.Ma questo avrebbe inficiato la qualità dell'intervento normativo oltre che esasperato i reali motivi di utilizzo di tale strumento di normazione.L'intransigenza inoltre,dimostrata verso le proposte della Cgil è stata necessaria,altrimenti si sarebbe alterato il patto di collaborazione degli altri sindacati e soprattutto della Confindustria.

Il Professore ha toccato poi la tematica dell'energia nucleare,ribadendo che l'Italia può essere interessata a questi argomenti ma senza tralasciare le regole sulla sicurezza,che andrebbero riviste e irrigidite a livello di legislazione internazionale.Il dramma di Fukushima ha infatti dimostratoche gli effetti di tali disastri possono essere molto ampi e quindi molto ampi dovrebbero essere gli interventi regolatori per la sicurezza di tali impianti.Prossima tappa dell'Esecutivo è far accettare la riforma del lavoro alle Camere e ai partiti politici.La ministro Fornero è ancora più netta ribadendo che gli emendamenti alla proposta di legge posso essere discussi e introdotti se migliorativi del testo,ma il disegno originario della legge non dovrà in alcun modo essere cambiato o trasformato.In particola sull'art. 18 il tema dei licenziamenti per motivi economici può anche essere discusso e criticato ma deve e dovrà restare lo strumento dell'indennizzo non certo del reintegro del lavoratore.

Altrimenti il senso stesso della riforma verrebbe meno.Se così non fosse i partiti politici dovranno assumersi le loro responsabilità davanti agli italiani e lo stesso esecutivo tecnico prenderà le sue conseguenti decisioni a riguardo.Insomma,se non è una minaccia preventiva di crisi,ci manca davvero poco.

 

Autrice:Rossana De Lucia

 

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Un'Europa che va ripensata.Scritto da:Nicola Giordano

24.03.2012 10:09

Necessità di riforme con un respiro ampio e comunitario.

Sembra oramai evidente.L'Europa deve urgentemente darsi nuovi programmi per dare vita finalmente ad un'unione fiscale ed economica.E l'Italia,la nostra Italia farebbe meglio ad investire con attenzione i suoi soldi finalizzandoli a creare nuovi posti di lavoro.Insomma servono due cose specifiche,sacrifici dolorosi e interventi rigidi e mirati,solo così si esce tutti insieme dalla crisi globale.

L' Europa appare davvero in grave difficoltà,l'unione stessa è a rischio e paradossalmente sembra più divisa che mai,il primo paese a cadere in un crollo fragoroso sembra essere la Gecia.Il continente ha bisogno di una riforma strutturale urgente dell'economia,ancor più di una ennesima iniezione di denaro pubblico per ridurre i debiti.Qualcosa è stato fatto da luglio,ma bisogna proseguire,con decisione,nonostante a volte vi siano ostacoli o proteste della popolazione.E'importante far capire che i sacrifici sono necessari per la sopravvivenza della loro stessa economia.La Grecia potrebbe sfruttare la sua posizione ai confini dell'Europa,da un punto di vista geografico,e rilanciarsi come piattaforma di commercio e collegamento verso i Balcani e il Medio Oriente.

Ci si chiede spesso se sia stata una buona idea creare una unione monetaria in Europa senza una puntuale unione di politica economica e fiscale.All'inizio l'idea sembrava essere vincente,l'economia sembrava davvero veleggiare nel continente.Forse però si è trascurato il fatto che il sistema comunitario non prevedesse possibilità di facile intervento in caso di crisi,cosa che è esattamente accaduta.L'unione monetaria porta innegabili benefici ma è ora di intervenire con politiche unite anche in campo economico e fiscale.

Molto preoccupante è il dato che,nell'area OCSE,il tasso di disoccupazione sia salito al 44%.In questo periodo è quasi ovvio un aumento del tasso di questa portata,quasi come un riflesso obbligato della recessione mondiale,ma il dato,seppur molto grave non va ingigantito oltre il suo naturale contesto.Quali possono essere quindi gli interventi per tamponare una tale perdita di occupazione?Prima cosa bisogna certamente destinare maggiori investimenti alla crescita occupazionale,al tempo stesso bisogna evitare finanziamenti a pioggia,ma scegliere progetti mirati,destinati soprattutto a produrre effetti positivi nel lungo periodo e non nell'immediato.Un esempio davvero virtuoso può arrivarci dai paesi scandinavi,veri pionieri di questa politica,che hanno elaborato interventi tesi a ridurre al minimo il tempo in cui un lavoratore è in stato di disoccupazione.

Il sistema italiano però sembra avere un difetto quasi strutturale:una protezione eccessiva a vantaggio di alcune categorie e un'assenza quasi totale di tutela per altre.Piuttosto che limitarsi a difendere i posti di lavoro esistenti.servirebbero al nostro paese norme tese a reintegrare quelli che sono andati perduti durante la crisi.Quindi da un lato diminuire le protezioni per chi è già impiegato e dall'altra evitare però di puntare tutto solo ed esclusivamente sulla flessibilità.

I lavori interinali quindi non sono per nulla una soluzione utile per combattere la crisi.All'apparenza sembravano essere utili quando furono introdotti 25 anni fa,perchè l 'economia cresceva velocemente e quindi sembravano illusoriamente creare nuovi posti di lavoro,ma in tempo di crisi tutto questo sembra essersi bloccato ed hanno palesato la loro sostanziale inefficacia.

La disoccupazione è un mostro a tre teste che sembra avere aggredito anche colossi come gli Stati Uniti.L'America ha sofferto molto più di tutti durante la recessione,anche più dei periodi recessivi del passato compresa la crisi del'29.Ma li,una volta superato il periodo recessivo si innesta quasi sempre una netta ripresa del mercato del lavoro.Ma questa volta sembra diverso:le aziende sarebbero anche disposte a ricominciare ad assumere ma la velocità di tale ripresa sembra essere ancora lentissima.

 

Autore:Nicola Giordano

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La Fiducia in Monti è davvero intatta?Scritto da:Rossana De Lucia

30.03.2012 09:37

Il flusso di gradimento sembra iniziare a mutare.Nonostante le parole del Professore.

«Il mio esecutivo,viceversa dai partiti politici in Italia, ha ottenuto e mantiene un notevole consenso nell'opinione pubblica nazionale». Tale è la frase che Mario Monti pronuncia in Giappone nel corso di una conferenza stampa ufficiale a seguito dell'incontro con la delegazione del Sol Levante.Soprattutto sulle domande che i giornalisti di mezzo mondo gli rivolgevano sulle imminenti riforme del governo italiano,Monti è apparso molto netto e deciso.

Ora,se decliniamo dalla evidente critica,sottolinenando che il cosiddetto morbo dei sondaggi tanto cari e amati dal Cavaliere ex presidente del Consiglio sembra aver colpito anche il sobrio ed elegante professore,è comunque importante evidenziare che l'opinione indicata da Monti non appare essere in linea con i reali dati che le aziende demoscopiche negli ultimi mesi stanno diffondendo in mezzo paese.

L'Ispo di Renato Mannheimer, ad esempio, su richiesta di alcuni quotidiani tra cui il  Sole 24 Ore evidenzia che l'appoggio del popolo italiano intercettato,ad appannaggio dell'esecutico dei tecnici guidato dal professor Monti è,negli ultimi giorni sceso al 45% a fronte di un dato del 53 % di sole due settimane prima,sempre secondo lo stesso Istituto.

Forse è davvero il momento di prestare più attenzione,da parte del governo dei professori,all'opinione pubblica,dato che solo pochi mesi prima,i ministri in toto godevano di un appoggio quasi totale sia della popolazione italiana si soprattutto da parte del intero insieme del sistema dei media sia televisivi che giornalistici.Pure un altro istituto demoscopico,l'Ipr, anche se da al governo un dato di consenso molto più alto,indicando la soglia del 55 %,sottolinea un innegabile calo dell'appoggio popolare nella figura specifica del Presidente del Consiglio e comunque una diminuzione notevole del dato di fiducia globale.

Magari è davvero sbagliato,come dicono alcuni,basarsi solo ed esclusivamente sul dato tecnico e statistico inerente alla fiducia verso Monti e la sua squadra di tecnici,soprattutto perchè nell'attuale momento ,viviamo situazioni e circostanze molto mutevoli nell'universo politico nazionale,dove tutto sembra liquido e tendente al cambiamento anche improvviso.Quindi si può davvero passare nel giro di pochi giorni dall'avere una buona impressione dell'esecutivo ad una impressione meno positiva.Se aggiungiamo che il nostro è un paese notevolmente corporativo,basterà una prossima proposta di legge che vada a toccare i privilegi di qualche casta specifica,per far facilmente mutare il loro appoggio all'operato di Monti e soci.

Una tecnica sistemica molto più utile e fedele alla realtà per quanto attiene alla misurazione dell'andamento della fiducia della pubblica opinione verso i governanti,potrebbe essere quella ideata dall'esperto di sondaggi,lo statunitense Rasmussen,il quale da svariati anni,giornalmente misura il grado di appoggio della popolazione nei confronti del Presidente degli Stati Uniti. Rasmussen, invece di misurare la solita fiducia generale verso l'attività di governo svolta ciclicamente incrocia questo dato anche con quello che è il dato di fiducia personale del Presidente,giorno per giono In tale maniera,secondo questo specifico sistema si può riuscire a individuare un livello base,riguardo la fiducia o meno dell'opinione pubblica,che ha maggiori caratteristiche di veridicità e stabilità,senza subire i cambiamenti umorali della popolazione,spesso fomentati in positivo e anche in negativo dal modo in cui l'informazione racconta i fatti della politica.

Quindi tirando le somme finali,è proprio di questo indice complessivo che il Professor Monti deve avere più o meno timore,se vuole nella realtà conoscere il suo livello di fiducia da parte della popolazione italiana oggetto dei sondaggi.Alla luce di ciò la preoccupazione arriva da un nuovo elemento:secondo tale sistema di sondaggi,una recente ricerca d'opinione fatta dall'azienda B&C di Roma la fiducia nell'attività di governo negli ultimi mesi è radicalmente cambiata,passando da un dato eccellente a un dato che rasenta i limiti della sufficienza.E questo si che è un elemento che dovrebbe far pensare e riflettere Monti e la sua squadra di tecnici,sul modo in cui gli ultimi interventi sul tema delle riforme debbano essere impostati.Almeno fino al 2013.

 

AUTRICE:Rossana De Lucia

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Nanni Moretti contro una certa Sinistra.Scritto da:Rossana De Lucia

14.03.2012 10:30

Ennesimo attacco del regista alla sinistra extra-parlamentare.

Sono scoppiate accuse e critiche dure fra il regista Nanni Moretti e Bertinotti,ex leader di Rifondazione Comunista.Entrambi personaggi che sembrano non amarsi molto, che in questi anni sono sempre stati sul punto di dar vita a liti di un certo spessore,forse perché entrambi sembrano essere convinti che uno dei due sia stata la causa del fallimento o comunque della caduta del progetto «rivoluzionario» della sinistra più comunista ed estrema.Il regista è ancora felice per la partecipazione politica e di movimento avuta con il gruppo dei «Girotondini» – oramai però scomparsi dalla piazza dopo pochi anni di attività– l'ex leader invece anche egli felice e ricco di stima per la sua  carriera politica comunque degna di plauso,terminata però in maniera drammatica,a causa della totale uscita dal Parlamento di Rifondazione Comunista nelle elezioni del 2008. Ma la cosa peggiore e divertente è che entrambi erano e continuano ad essere ottusamente convinti di conoscere la ricetta,il modo o la formula intellettualmente superiore e magica per sconfiggere l'immortale avversario:il Cavaliere,Berlusconi.

Il nemico medesimo è il solo punto di contatto che accomuna questi due particolari personaggi,sia nelle manifestazioni sia nelle sale cinematografiche. Era il 2001 quando il creatore del capolavoro «Ecce Bombo» mosse accuse di fuoco dal pulpito del festival di Cannes al leader di Rifondazione Comunista,colpevole di aver causato dolosamente la sconfitta prodiana nella sfida elettorale con il Cavaliere avutasi pochi giorni prima. Con una frase imperniata ed avvolta nel  veleno: «Non capisco perché Berlusconi ringrazi milioni di persone, è sufficiente che ne ringrazi una sola, Fausto Bertinotti». Affermazioni alle quali il buon Fausto rispose in maniera acida e risentita  con un «lo preferivo quando si occupava di Nutella», riferendosi alla celebre scena del film «Bianca».

Oggi il terreno della contesa tra i due – che nel frattempo non hanno mai smesso di mostrare una reciproca antipatia ma che sono ormai finiti «rottamati» dalla sinistra – è ancora quell'anatema lanciato dal palco della manifestazione cinematografica francese. In una intervista pubblicata ieri da «la Repubblica» il regista si esibisce infatti così nei confronti dell'ex leader di Rifondazione: «A me resta soprattutto una una sensazione di rabbia per un governo che era popolare nel Paese e che invece fu costretto a dimettersi perché da sinistra gli tolsero i voti. Bertinotti in nome dei lavoratori che diceva di rappresentare tolse la fiducia a Prodi e, secondo me, di fatto fece perdere 10 anni a questo Paese». Il perché di questa analisi è spiegato subito dopo: «Sono convinto che se Prodi avesse resistito poi Berlusconi non avrebbe avuto vita così facile nel riprendersi la maggioranza e il destino politico dell'Italia sarebbe stato diverso». Concetto che a Fausto Bertinotti, ormai tranquillo pensionato della politica, è andato di traverso.

E nel primo pomeriggio, dopo aver rimuginato sulle frasi dell'intervista, ha replicato in modo altrettanto sferzante: «Qualche generoso cronista dovrebbe informare il molto saccente Nanni Moretti che la rottura tra Rifondazione Comunista e il governo Prodi è del 1998 e che dopo tale rottura, e prima del ritorno di Berlusconi, vennero i governi di Massimo D'Alema e di Giuliano Amato e che poi, dopo il governo Berlusconi, nel 2006 tornò di nuovo a vincere la coalizione guidata da Romano Prodi». «Dopo quella lontana rottura Rifondazione, ed io con esso – è la conclusione – ha fatto un gran cammino che gli ha consentito di vivere l'esperienza del movimento altermondialista da Porto Allegre a Genova e oltre. Per parte mia è un'esperienza che rivendico: non a tutti è dato di essere autonomi dal potere. Per scelta volontaria ho lasciato il ruolo di direzione politica nel 2008, nel frattempo, da quella rottura era passata una intera storia. Anche chi è eccessivamente affezionato alle sue opinioni potrebbe vedere che non esiste alcun rapporto di causa ed effetto tra i due fatti».

Forse però Fausto Bertinotti nel rivendicare il suo orgoglio «altermondista» si è dimenticato che quando, nel 2006, fu eletto presidente della Camera abbandonò il suo aplomb rivoluzionario per diventare iperpresenzialista alle serate delle feste romane. E la sinistra alle elezioni del 2008 scomparve.

 

Autrice:Rossana De Lucia

 

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TAV,lo Stato ha il diritto di decidere.Scritto da:Rossana De Lucia

05.03.2012 10:00

Accanto al diritto di protestare c'è il diritto dello Stato di comandare il territorio.

L'Esecutivo non ha la volontà di indire un referendum nella val di Susa inerente la realizzazione della Tav. Lo ha comunicato Antonio Catricalà,sottolineando che:«abbiamo riesaminato nella sua globalità il progetto, lo abbiamo analizzato giuridicamente, e tenendo conto del contesto sociale e ambientale. Non vi sono tabù e motivi contrari.Lo Stato ha l'obbligo morale, politico e civico per non essere allontanati dall’Europa, da una credibilità che abbiamo riconquistato con estrema difficoltà». «Non credo che faremo un referendum su una vicenda cosi evidente e di importanza nazionale.

È chiaro che il confronto con le istituzioni, a ogni livello, proseguirà. Forse – ha concluso – quello che noi dobbiamo migliorare è la comunicazione sull’importanza di questa opera, che è importante e prioritaria per la nostra economia».  «Non so se si è partiti con il piede sbagliato» sulla Tav, «ma abbiamo riconsiderato completamente il progetto, facendo ridisegnare tutti i passaggi e abbiamo anche fatto riesaminare dal ministero dell’Ambiente la valutazione di impatto ambientale e possiamo assicurare che non ci sono punti oscuri o vuoti in questa valutazione», ha premesso Catricalà, dopo aver sottolineato che in Francia il progetto è stato condiviso dai cittadini.

«Noi abbiamo il dovere morale, politico e civico di portare avanti» il progetto della Tav, ha proseguito il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, «per non essere allontanati dall’Europa e dalla credibilità che abbiamo riconquistato con estrema difficolta». Alla domanda se il governo possa, come suggerito da qualcuno, convocare un referendum sulla Tav, Catricalà ha risposto: «Credo che non faremo un referendum su una vicenda di così evidente importanza nazionale, ma è chiaro che continueremo il confronto con le istituzioni, continueremo a confrontarci e a convincerli. Forse quello che dobbiamo migliorare è solo la comunicazione sull’importanza di questa opera che per noi resta prioritaria per lo sviluppo dell’economia e per la credibilità della Nazione».

Bene ha fatto il presidente del Consiglio, Mario Monti, a ribadire che la posizione del governo sulla Tav non cambia.

Non cambia e neppure deve cambiare, perché difendere la realizzazione dell’alta velocità Torino-Lione significa oggi difendere non soltanto una linea ferroviaria, ma anche e soprattutto il diritto dello Stato a realizzare sul territorio nazionale opere di interesse strategico per il Paese.

Nessuno può negare, infatti, che la guerriglia e le manifestazioni di violenza a cui abbiamo assistito in questi anni, in questi mesi e in questi giorni siano l’espressione della preminenza, all’interno del movimento No-Tav, della componente anarchica e anarco-insurrezionalista.

Essa ha usato ed usa i valligiani e la loro rabbia come carne da cannone per affermare la vecchia e mai tramontata idea secondo cui l’esistenza dello Stato implica per ciò stesso la negazione della libertà dell’individuo, il sopruso nei confronti del singolo e la cancellazione dei suoi diritti. È una esasperazione ideologica che distorce la realtà per perseguire i propri scopi, e come tutte le esasperazioni ideologiche porta con sé un carico di violenza potenzialmente devastante.

Tutto ciò non può e non deve essere tollerato, e la storia italiana mostra quanto la sottovalutazione o la tacita giustificazione di tali fenomeni siano state foriere di tragedie nazionali.

In questo senso, deve essere chiaro che il legittimo uso della forza da parte dello Stato è il corollario non di una concezione fascista, ma dell’idea liberale per cui la libertà di un individuo trova un limite nella libertà degli altri individui. Non va dimenticato, infatti, che la realizzazione della Tav non è stata imposta dall’alto al nostro Paese da un’oscura volontà superiore, ma è frutto di una scelta compiuta da istituzioni democraticamente elette, secondo leggi vigenti anch’esse democraticamente approvate. È evidente che rigettare tutto ciò nei modi che si possono osservare in questi giorni significa rigettare sin nel loro fondamento le regole e le norme costituzionali sulle quali si fonda il nostro vivere civile. Significa, in ultima analisi, rigettare la democrazia.

Perciò gli uomini in divisa che si trovano oggi a fronteggiare la violenza No-Tav, così come gli uomini che si trovarono a fronteggiare la violenza No-Global ai tempi del G8 del 2001, non sono “servi” di uno Stato autoritario e oppressore, bensì “servitori” di uno Stato liberale e democratico che vuole continuare ad essere tale.

 

Libere Professioni:non cambia proprio nulla.Scritto da:Nicola Giordano

02.03.2012 10:23

La paura blocca il Governo.Tutto rimane come era.

 
Si è tenuta ieri, la giornata di protesta di tutte le professioni che, un tempo, avremmo definito “liberali”. E’ stata indetta quando l'intervento governativo sulle liberalizzazioni si delineava come un morso sanguinolento contro le tante esclusive e privative di cui ancora godono, le innumerevoli regole  che impediscono l’ingresso di nuove leve di professionisti e iper tutelano categorie di atti e fasce di servizio e prodotto che esse sole possono offrire.
 
Ma la giornata di ieri aveva un senso molto diverso, rispetto alla protesta iniziale di quando è stata convocata.E' stata la giornata della vittoria. Perché in parlamento le forze politiche che sostengono il governo hanno innestato la retromarcia rispetto a norme che già di fatto erano assai più modeste di quelle attese. In buona sostanza, sono state accolte il più delle richieste avanzate da avvocati, ingegneri, architetti e via proseguendo. Di conseguenza, come su moltissimi altri capitoli di un decreto troppo enfaticamente battezzato cresci-Italia, le buone intenzioni si sono perse per strada. E resta praticamente solo la riuscitissima operazione mediatica, sulla scena italiana e sui quella europea mondiale, che comunque all’immagine dell’Italia male non fa. Ma rende assolutamente lunari le stime di crescita aggiuntiva di un punto di Pil ogni anno per dieci anni, che campeggiavano nella prima pagina della relazione di accompagnamento del decreto.
 
E’ caduto l’obbligo di preventivo al cliente. La norma che prevedeva l’abolizione delle tariffe minime viene aggirata dal fatto – vedi decisione del Tribunale di Roma, proprio ieri – di tenerle comunque saldamente in esistenza per il contenzioso e le decisioni giudiziali. Persino la norma  che prevedeva il tirocinio pagato con incentivi di Stato mentre si frequenta ancora ancora l’Università perde l’obbligo retributivo della versione originale. E di conseguenza  moltissimi giovani continueranno a svolgere pratica di studio pagati meno delle segretarie, e senza alcuna certezza per anni di poter un giorno diventare associati. La possibilità di studi professionali con ingresso di società di capitali è stata fortemente ristretta, in nome del no ai grandi studi iperspecializzati, innervati in forme giuridiche e dotazioni patrimoniali  più coerenti all’odierno mercato.
Criticare, come qui si sta facendo, espone a controcritiche durissime da parte di chi esercita la rappresentanza di ordini e professioni. Lo so bene da anni.
 
E da liberista impenitente abbiamo imparato a distinguere la qualità e l’apertura di chi esercita la rappresentanza. Perché c’è chi negli anni si è molto più aperto a queste innovazioni, come i commercialisti, e chi invece nel mondo forense continua a ripetere che non c’è barriera alla concorrenza per il solo fatto di avere un esercito di 250 mila avvocati: metà dei quali o quasi concentrati ad alimentare per campare l’iperlitigiosità che dell’Italia è problema, e con altre decine di migliaia in fila a svolgere il loro stesso mestiere in condizioni di sfruttamento molte volte assolutamente indegne.
 
Tuttavia una cosa è chiara. Le critiche alla chiusura che ancora una volta ha finito per prevalere non significa affatto disconoscere il patrimonio di impegno, dedizione e professionalità che queste figure essenziali rappresentano nella nostra Italia. Il punto è tutt’altro. Pensiamo per un secondo ai notai. Quando nell’ordinamento italiano fu loro affidato il compito di una validazione di legalità ex ante, alla stesura stessa di molti atti e nei confronti dei loro stipulanti, reciprocamente tra loro e nei confronti dello Stato, eravamo nell’Italia pre repubblicana, una nazione ancora agro-pastorale. Ora non ha più senso, tenere in vigore la stessa lista di esclusive affidata loro decenni fa: moltissimi atti di esclusiva pertinenza notarile possono essere aperti, a seconda delle diverse tipologie, alla concorrenza di avvocati, commercialisti e persino geometri e periti tecnici.
 
Oppure, pensiamo ai farmacisti. Anche nel loro caso, l’errore è quello di tenere come esclusiva delle farmacie l’attuale classificazione dei farmaci loro riservati. A cominciare da quelli di fascia C. Invece il governo ha deciso di tenere notai e farmacisti esattamente al riparo delle loro privative, come prima, decidendo solo di aumentare il loro numero.
Ma aumentare l’offerta di monopolisti pianificata centralmente dallo Stato non ha nulla a che vedere con una liberalizzazione. Estende solo il numero dei privilegiati.
 
Le povere mosche bianche liberiste, che da tempo elaborano  quel rapporto annuale sulla perdurante bassa concorrenza nei più diversi settori dell’economia italiana con il quale moltissimi media hanno illustrato nei primi giorni la necessità del decreto annunciato da Monti, continueranno a dire e ripetere che occorre tutt’altra chiarezza e coraggio, nel recuperare i tanti ritardi accumulati. Anche nel mondo delle professioni. Senza mancare di rispetto a nessuna di esse. Con la piena consapevolezza che un Paese avanzato ha bisogno delle loro preparazione. E che in molti Paesi europei le cose vanno in questa materia come in Italia e peggio che in Italia.
 
Ma a l'ispirazione non è il desiderio di un ipotetico darwinismo professionale, come vorrebbe la replica che viene rivolta. Al contrario, è proprio per gli ostacoli alla concorrenza oggi persistenti, che alla fine i figli degli avvocati sono avvantaggiati a fare gli avocati, e via proseguendo per ogni libera professione.
Il professional day di ieri è la rivincita del vecchio adagio italiano che non si cambia senza codecisione, e che la codecisione guarda all’indietro invece che in avanti. E’ la conferma che se il governo è stato troppo prudente, io partiti restano troppo porosi a interessi elettorali conservativi  (anche qui distinguendo, c’è stato chi in Parlamento ha presentato emendamenti migliorativi, dalle banche all’energia, assai meno sulle professioni).
 
Peccato, noi avremmo preferito una politica che dicesse a tutti: “dobbiamo riservare a ciascuno e a voi tutti la stessa giusta decisione con cui abbiamo imposto a centinaia di migliaia di italiani, da un giorno all’altro, di lavorare anni in più prima della pensione che avevano a portata di mano”. Invece, niente. Una Repubblica che continua a trattare alcuni da figli e altri da deboli figliocci, assomiglia purtroppo alla fattoria degli animali di George Orwell.
 

 

Ancora primarie indigeste per il PD.Scritto da:Rossana De Lucia

07.03.2012 09:50

Ormai sembrano diventate un gioco al massacro le primarie del Pd.

Se quando si raggiungono vittorie esistono centinaia di "padri" le sconfitte,ovviamente,risultano quasi sempre "orfane". Non certo se si parla di Pd. Nello spazio di pochi giorni i Democratici sono stati costretti a metabolizzare lavittoria di Marco Doria (sostenuto da Sel) alle primarie per il Comune di Genova e, ieri, quella dell'ex Idv Fabrizio Ferrandelli a Palermo.I due candidati erano delle mine vaganti chiamati a lottare con i candidati ufficiali arrivati e segnalati (anche se forse sarebbe meglio dire imposti) da Roma dal Pd. Il padre di questa disfatta, quindi, è tutto tranne che sconosciuto: il segretario Pier Luigi Bersani.

E se in Liguria a sostegno "dell'imputato" c'erano delle attenuanti generiche, in Sicilia la responsabilità è totale. E apre l'ennesimo processo all'interno del partito. Dopotutto stavolta Bersani ci ha messo la faccia. Ha lanciato e sostenuto (secondo il terzo candidato alle primarie Davide Faraone anche economicamente) Rita Borsellino. Ha difeso l'idea di un'alleanza di governo con Idv e Sel. Ha perso. Così c'è chi alza la voce. Qualcuno, come il senatore Pd Giuseppe Lumia tra i sostenitori di Ferrandelli, si spinge fino al punto di ipotizzare le dimissioni del segretario («valuteremo se chiederle»). Ma il candidato sindaco in pectore prova a smorzare i toni: «Non esiste un "caso Bersani", semmai un caso Palermo. Non siamo qui per tagliare le teste, ma per aggiungerne e ora bisogna far quadrato e trovare insieme il modo di stare uniti per questa città».

Lo stesso leader del Pd allontana l'idea di uno scontro all'ultimo sangue: «Le primarie dovunque non sono mai un pranzo di gala, certo non possono diventare una resa dei conti». Quindi spiega che se problemi ci sono, si tratta di «problemi politici». «Le primarie - aggiunge - sono un meccanismo che sicuramente favorisce il rapporto con i cittadini. Ma certo non risolvono i problemi politici. Se correzioni vanno fatte al meccanismo, è per mettere la politica prima delle primarie, per decidere se e come. Non bisogna escludere che ci siano più candidati del Pd ma deve essere una situazione straordinaria. Se invece è a rischio il profilo politico serve una discussione». Ora è proprio su questo punto che insiste la minoranza dei Democratici.

Dagli uomini più vicini a Walter Veltroni fino ad Enrico Letta si sottolinea come la sconfitta di Borsellino coincida con una bocciatura della ormai famosa «foto di Vasto» e, quindi, di un'alleanza organica con Idv e Sel. Ma anche su questo punto Bersani non ci sta: «Non so cosa c'entri la foto di Vasto con Palermo. Tutti i candidati a Palermo hanno sottoscritto il patto del centrosinistra e con il centrosinistra abbiamo vinto a Torino, a Milano, a Bologna. Non credo ci siamo sbagliati». A parte la netta divergenza di vedute tra il segretario e il suo vice (segno evidente della spaccatura interna al partito), è chiaro che la discussione è tutt'altro che marginale.

Per ora la minoranza, che non vuole che ciò che è accaduto a Palermo venga derubricato a semplice incidente di percorso, non parla di congressi anticipati né invoca le dimissioni di Bersani. E chiede piuttosto la convocazione di una direzione. L'impressione è che si voglia prendere tempo mantenendo una certa pressione sul segretario, ma senza rompere. Il nodo da sciogliere è sempre lo stesso: quale sarà il Pd del dopo-Monti? Su questo Letta e Veltroni hanno le idee chiare e sono già al lavoro (più il primo che il secondo). Lo scenario immaginato lo ha descritto Eugenio Scalfari nel suo editoriale di domenica: dopo le amministrative il Pdl potrebbe implodere; a quel punto Pier Ferdinando Casini e i suoi ne raccoglierebbero, rinforzandosi, i cocci; il Pd potrebbe quindi stringere un patto con il Terzo Polo per mantenere Mario Monti a Palazzo Chigi e Giorgio Napolitano al Quirinale aprendo così una stagione costituente che spazzi via gli ultimi rimasugli del berlusconismo.

Bersani, che sogna di fare il candidato premier, è ovviamente contrario a questa ipotesi. Un aiuto potrebbe arrivare comunque dal voto di maggio. Il Pdl, in caduta libera, potrebbe far saltare il tavolo delle riforme e rispolverare l'asse con la Lega. A quel punto, con una legge elettorale che difficilmente cambierà, il Pd potrebbe ritrovarsi al fianco di Sel e Idv.

 

Scritto da:Rossana De Lucia

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Torna Santoro,torna l'odio in Tv.Scritto da:Rossana De Lucia.

02.03.2012 10:09

Iniziano le puntate al veleno di Santoro.

Ci era davvero mancato tanto?Orfano di Berlusconi a Palazzo Chigi, esiliato dalla Tv pubblica, Michele Santoro aveva fatto grande fatica in questi mesi a produrre le sue consuete sparate provocatorie. Ma si è ripreso ieri, in una puntata di Servizio Pubblico sui No Tav, i servizi girati dalla Val di Susa erano eloquenti: «Non sono fatti di guerriglia ma di resistenza alle forze ordine». E poi inizia la critica all'atteggiamento del governo che non manda carabinieri a chiudere le discariche, come vorrebbe l'Europa, ma che difende la Tav perché così si è deciso a livello comunitario. Insomma, mancava giusto Michele al coro di quelli che hanno sempre una giustificazione pronta. Di quelli per cui i No Tav non sono «guerriglieri», ma «resistenti». E guai a dire che l'opera non si deve fare. Si diventa subito dei nemici del popolo. Ne sa qualcosa il Pd che ieri ha dovuto fare i conti con una ventina, forse meno, di ragazzi che al grido di «Assassini, assassini», ha invaso l'ingresso della sede nazionale del partito. Nessuno scontro, nessuna tensione. Gli occupanti, poco più che maggiorenni, si sono mossi con gli atteggiamenti dei leader navigati. Hanno «chiuso» il portone con una bandiera No Tav e lì sono rimasti per quasi due ore godendosi il loro momento di notorietà. Hanno rilasciato dichiarazioni ai giornalisti parlando come se recitassero comunicati stampa. E quando gli è stato chiesto il nome hanno tentennato. Non bisogna farsi identificare dagli «sbirri». E comunque, hanno spiegato, la «collettività» non ha nomi. Questa è una battaglia di popolo. Forse speravano di vedere il sindaco di Torino Piero Fassino che però era al Viminale riunito con il ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri. Non hanno incontrato Pier Luigi Bersani che è stato a lungo rinchiuso in un ristorante lì davanti per poi fuggire quatto quatto senza che i militanti, evidentemente distratti da telecamere e taccuini, se ne accorgessero. Così, a condurre la «trattativa» è stato il responsabile Sicurezza del Pd Emanuele Fiano. La prima offerta è stata quella di ricevere una rappresentanza per discutere. I ragazzi si sono riuniti e hanno rifiutato: «Vogliamo che pubblichiate sul vostro sito un nostro comunicato». Seconda offerta: il Pd è disponibile ma voi dovete scrivere una condanna esplicita di ogni violenza. Altro rifiuto. Ognuno rimane sulle sue posizioni. Da un lato Bersani, a margine di un convegno, dichiara: «Sono molto preoccupato è una fase delicatissima, io sono disposto giorno e notte a parlare con i giovani e con chiunque ma serve una netta presa di distanza dalla violenza». Dall'altro i ragazzi, che nel frattempo sono stati raggiunti da un'altra ventina di «compagni», scandiscono: «Con la polizia o con la società, il Pd con chi sta». A metà pomeriggio gli occupanti abbandonano Sant'Andrea delle Fratte. Poche certezze sul futuro. Si attendono indicazioni da Bussoleno dove alle 18 si riunisce il «cuore» della protesta. Ma la parola d'ordine della giornata è «Blocchiamo tutto». Così, nel frattempo, si moltiplicano le iniziative. Genova, Torino, Venezia, Parma, Cagliari, Palermo, Napoli, Firenze, Bologna, Ancona. Vengono occupate le stazioni, le tangenziali. Su Radio Black Out, voce ufficiale dei No Tav, si danno indicazioni su dove e come si muovono le «forze del disordine», la «sbirraglia». Alle 18 l'assemblea comincia. Si ripercorre ciò che è accaduto nella notte tra mercoledì e giovedì. Gli scontri sulla A32 (bilancio finale 29 feriti tra gli agenti e un numero imprecisato tra i manifestanti) e quella che, secondo i No Tav, è stata «una caccia all'uomo nella notte per le vie di Bussoleno invase dal fumo dei lacrimogeni». A testimoniarlo le immagini dell'irruzione della Polizia in un bar trattoria, «La rosa blu» di Vernetto di Chianocco, con gli agenti che sfondano una vetrina (i danni verranno pagati dalla Prefettura). Alberto Perino, leader storico dei No Tav, gomito rotto e braccio ingessato dopo, così racconta, essere stato «manganellato», avverte: «Li faremo impazzire». Bisogna portare la protesta in tutta Italia. Riemerge l'idea di uno sciopero generale della Val di Susa contro l'opera. Nel frattempo viene rioccupata l'A32. Ma lontano dallo svincolo presidiato dagli agenti. Meglio non «resistere» troppo.

 

Finalmente qualcuno l'ha capito:Berlusconi non è un nemico,ma un avversario politico.Scritto da:Rossana De Lucia

27.02.2012 09:39

Decenni di odio verso il Cavaliere non hano portato a nulla.

Esistono politici,pure all'opposizione,che finalmente depongono le armi contro  Berlusconi.Si ha la consapevolezza  che dopo 18 anni di lotte in tribunale, 25 procedimenti conclussisi in niente, è l'ora di lasciar cadere l'incubo e l'odio per il Cavaliere. E concentrarsi a dar vita ad un nuovo corso della politica italiana.Ci è arrivata la componente più moderata e più responsabile dell'opposizione, che spesso va di «di sponda» con i membri del centrodestra disponibili – anche loro – ad un dialogo più contenutistico e meno idiologico. E che scrutano con celato interesse a tali cambiamenti. Soprattutto pensando alla prossima tornata elettorale del 2013.

Nel centrosinistra ha provato a spiegare la necessità di cambiare spartito il «rottamatore» Matteo Renzi, forse il più spregiudicato tra le facce nuove del Partito Democratico, l'unico che ha superato il tabù di andare a parlare con Berlusconi direttamente ad Arcore. Beccandosi accuse e improperi da quasi tutto il suo partito. E accanto a lui si è schierato Pier Ferdinando Casini che pure dell'ex premier è stato tra gli avversari più feroci dopo aver condiviso con lui una parte degli anni di governo. Ma anche il leader del Terzo Polo – finito in prescrizione il processo Mills – si è stancato della guerra a oltranza che ha scatenato la sinistra contro l'ex premier. Preferendo dedicarsi a capire cosa può nascere sotto il cielo della politica dopo diciassette anni di berlusconismo. «Non mi interessa commentare, basta con le polemiche tra Guelfi e Ghibellini – ha commentato ieri – Il caso Mills è l'ultima pagina di una stagione irrimediabilmente finita.

Ora guardiamo avanti e cerchiamo di costruire qualcosa di positivo facendo finalmente la riforma della giustizia». «Giriamo pagina, smettiamo di pensare ad un passato che è finito - ha rincarato Casini – si rassegnino tutti, anche i vedovi di Berlusconi che stanno a destra ma in molti anche a sinistra. Adesso è il momento di costruire qualcosa di positivo, bisogna pensare a rifare il sistema giudiziario italiano, in un rapporto corretto con tutte le componenti, salvaguardando certo l'autonomia della magistratura ma anche stabilendo importanti principi di responsabilità». Stessi ragionamenti e stessa stanchezza verso un accanimento ormai inutile quelli usati dal sindaco di Firenze Matteo Renzi in una intervista al «Corriere della Sera». Nella quale ha invitato tutti finalmente a guardare più in là della disputa infinita pro o contro il Cavaliere. «Silvio Berlusconi è stato prosciolto e io spero che questo ponga fine alla lunga era delle curve e degli ultrà» dice il «pierino» del Partito Democratico. «È vero – aggiunge – è stato prescritto e molti altri lo sottolineeranno. Eppure, io non posso non tenerne conto: con oggi Berlusconi è uscito da quel processo.

È un libero cittadino. Questo è un fatto e chi volesse metterlo in discussione metterebbe in discussione anche la giustizia di questo Paese. Io spero che con questa sentenza si possa finalmente tornare a parlare in modo serio di giustizia. E sommessamente suggerisco che sia ora di archiviare certi temi per parlare di ciò che interessa alle famiglie e alle imprese e non solo a pochi privilegiati». Messaggio che non si fa fatica a capire che sia indirizzato anche a Pier Luigi Bersani. E infatti la frecciata arriva poco dopo commentando la richiesta fatta dal segretario dei Democratici al Cavaliere di rinunciare alla prescrizione per farsi processare: «Come è noto il cittadino Silvio Berlusconi non si fa consigliare da Pier Luigi Bersani – è la risposta secca di Renzi all'intervistatore – Ognuno ha il suo stile... In ogni caso l'ex premier non è né il primo né l'ultimo i cui processi sono andati in prescrizione. E fintanto che il nostro ordinamento prevede un meccanismo del genere c'è poco da fare: se si vuole rispettare il lavoro dei magistrati si prenda atto dei risultati». Una voce isolata nel Pd, alla quale si accoda solo il deputato Giorgio Merlo.

Il quale ribadisce che dell'antiberlusconismo ne ha fin sopra i capelli. «Quello sui processi di Berlusconi è un dibattito che inizia a stancare perché dura da 18 anni», si sfoga. Mettendo invece al centro del dibattito la revisione del sistema giudiziario. «Penso che sia necessaria la riforma della giustizia. Si deve garantire velocità e responsabilità di chi giudica. Centrare questi obiettivi sarebbe un grande passo avanti». Alle due voci isolate tra i Democratici si aggiunge quella di Bobo Craxi, il figlio del leader socialista, anche lui convinto che sia il momento di mettersi alle spalle uno scontro politico che ormai appassiona solo i «talebani» dell'antiberlusconismo. «In una certa sinistra, certi capi non si tolgono mai il vizio di invocare le manette – commenta – Il caso giudiziario di Berlusconi è prescritto, quello politico è chiaramente archiviato: più o meno come accaduto al Partito comunista e ai suoi capi, prescritti nell'89». E perfino Nanni Moretti, ieri sera, alla domanda se il suo film «il Caimano» fosse davvero datato ha risposto con un laconico «sì, datato».

 

Nessuna speranza,il Csm è una vera corporazione.Scritto da:Nicola Giordano

20.02.2012 09:27

Il Capo dello Stato rimprovera e il Csm assolve.

Nel momento in cui il Presidente della Repubblica Napolitano ha enunciato al Consiglio Superiore della Magistratura un'invettiva in cui ha stigmatizzato le “eccessive esternazioni” di molti magistrati, il medesimo Csm ha definito “lecito” ma “inopportuno” il discorso fatto dal Pm di Palermo Ingroia al convegno del Partito dei Comunisti Italiani.
Questo significa che tra il Csm ed il Capo dello Stato (che poi è il presidente dello stesso Csm) c’è una frattura in essere? E che l'accusa senza sanzioni di alcun tipo nei confronti di Ingroia costituire la risposta implicita (ed ovviamente polemica) alla critica di Napolitano verso i magistrati che “esternano” eccessivamente come lo stesso Ingroia? Niente affatto.
Nessun componente del Consiglio Superiore della Magistratura pensa minimamente di mettersi in contrasto con il Presidente della Repubblica. E tutti sono perfettamente d’accordo sul richiamo di Napolitano ad una maggiore “sobrietà e compostezza” espositiva delle toghe. E solo che per loro le due questioni, quella del richiamo ai principi fatto dal Capo dello Stato e quella della valutazione concreta del comportamento di un magistrato, vanno poste su due piani distinti e separati.
Dove si applicano logiche completamente differenti. Su quello dei principi dove si colloca il Presidente della Repubblica vale la logica astratta dell’adesione formale ai grandi valori generali della Costituzione. Su quello della valutazione concreta dei comportamenti dei magistrati vale invece la logica corporativa che subordina costantemente i principi generali al diritto individuale del singolo magistrato.
Da un punto di vista formale, dunque, il Csm che “bacchetta” ma non punisce in alcun modo l’”esternatore” esorbitante Ingroia non si pone affatto in contrasto con Napolitano e la sua critica alle “esternazioni” eccessive. Anzi, sul piano formale condivide in pieno la valutazione del capo dello Stato.
Ma sul piano materiale, quando si tratta di valutare concretamente se un magistrato abbia ecceduto o meno in comportamenti destinati a creare dubbi sulla sua terzietà (e quindi sulla credibilità della stessa magistratura), il Csm considera sempre prevalente su qualsiasi principio generale il diritto di ogni singolo magistrato alla libertà d’opinione riconosciuta dalla Costituzione a tutti i cittadini.
Il Csm non compie alcuna forzatura nel comportarsi in questo modo. Segue, semmai, una prassi che si è consolidata nel corso dei decenni e che è diventata una sorta di riflesso pavloviano per chiunque si sia succeduto nell’organo di autocontrollo della magistratura italiana. Paradossalmente, però, questa circostanza non è un attenuante ma, al contrario, un aggravante.
Significa che la dissociazione tra piano formale e piano materiale non nasce da una qualche strumentalizzazione occasionale ma da una distorsione diventata ormai strutturale. Quella che porta il Csm a considerare che il magistrato ha gli stessi diritti dei normali cittadini ed a dimenticare che alla rivendicazione di questo diritti deve corrispondere, per chi amministra la giustizia, una maggiore responsabilità.
Perché, altrimenti, il diritto del cittadino magistrato diventa maggiore del diritto del cittadino normale trasformandosi in privilegio. Chi giudica in base al principio della “legge uguale per tutti” non può farlo se non applica il principio anche a se stesso!

 

Scusate una domanda:ma perchè il Governo Berlusconi cadde?Scritto da:Rossana De Lucia

14.02.2012 09:45

Tensione e incomprensione lacerarono l'esecutivo Berlusconi.

I segreti che fioccano dalle segrete stanze evidenziano che il principale colpevole della caduta dell'esecutivo Berlusconi fu Giulio Tremonti. Non a causa del suo continuo ostacolare i provvedimenti con misure necessarie all’economia quasi identici a quelli poi emanati dal governo tecnico di Mario Monti,allo scopo di non genuflettersi dinanzi al Cavaliere ed amici-nemici di governo tipo Brunetta, La Russa o Romani.
La verità è che per colpa del proprio carattere e della convinzione di sentirsi il dominus inattaccabile delle politiche di governo, l’ex ministro dell’Economia diede vita all’interno del governo un'atmosfera di tale tensione e divisione che anestetizzò l’azione governativa e obbligò il Quirinale e l’Europa a staccare la spina ed a appoggiare le condizioni per l’arrivo di Mario Monti e della sua squadra di tecnici
E’ questa la verità sulle vicende italiane del dicembre dello scorso anno? Probabilmente si tratta di una verità plausibile. Infatti sarà pure vero che l'ex ministro dell'Economia sia stato la causa verticistica dell'implosione governativa. Ma è altrettanto vero che accanto a questa causa principale ci sono tante concause non meno determinanti.
Dalla incapacità di troppi componenti del vecchio esecutivo di tenere i nervi a posto e mettere il proprio protagonismo al servizio degli interessi della coalizione e del paese alla eccessiva titubanza con cui il Premier di allora, troppo preso dalla necessità di difendersi dalle continue campagne di aggressione personale, non ha rimesso in riga o fatto piazza pulita dei troppi presuntuosi litigiosi che facevano parte del governo.
Volendo, tra le cause si potrebbe anche inserire il ruolo svolto dal Presidente della Repubblica. Troppo protagonista per risultare, come oggi il Quirinale vorrebbe far credere asettico ed al di sopra delle parti. Ma la questione centrale non è identificare i colpevoli e gli innocenti per rinfocolare polemiche che ormai servono a ben poco.
E’ trarre da quella esperienza un qualche insegnamento utile per il futuro del paese. Affinché gli errori commessi ai danni non solo di un governo democratico provvisto di maggioranza parlamentare ma soprattutto degli elettori che lo avevano votato, non si ripetano nel futuro. L’occasione per mettere a frutto questa esperienza è più che favorevole.
Perché in questi giorni si è aperta una importante trattativa tra le forze politiche sulle modifiche da apportare alla legge elettorale e sulle riforme istituzionali da realizzare prima della fine della legislatura. E sarebbe opportuno mettere sul tavolo del confronto una esperienza che ha riguardato la coalizione di centro destra ma si era anche manifestata negativamente nel governo di centro sinistra di Romano Prodi.
L’insegnamento che emerge da queste due vicende (ma dall’intera storia dei governi della Seconda Repubblica) è che la figura del Presidente del Consiglio primus inter pares come ai tempi della Prima Repubblica rappresenta un elemento di debolezza estrema per l’intero governo.
Perché deresponsabilizza chi la ricopre impedendogli di esercitare una effettiva funzione di comando e di guida sull’esecutivo. E deresponsabilizza tutti gli altri componenti della compagine governativa. Anche quelli che magari pretendono di condizionare gli altri dall’alto della propria presunzione o dalla propria occasione collocazione alla guida di un dicastero strategico.
Fino ad ora l’esperienza della Seconda Repubblica indica che alla debolezza della figura del Presidente del Consiglio ha supplito la figura del Presidente della Repubblica trasformato da notaio della Costituzione in tutore del Capo del Governo. Ma il risultato è stato pessimo. Non per cattiva volontà dei Presidenti del Consiglio e dei Presidenti della Repubblica.
Ma perché tutto è avvenuto per caso e senza una regola istituzionale chiara e definitiva. Per anni si è discusso se innovare la Costituzione puntano sul premierato o sul presidenzialismo. Non si è fatto né l’uno, né l’altro. E ora è arrivato il momento di decidere.

 

Nel PD è sempre lotta interna.Ora tocca a Veltroni.Scritto da:Rossana De Luci§

20.02.2012 09:15

Veltroni-Bersani:è un duello continuo.

Forse è una premessa per l'offerta di un nuovo incarico al Governoper per il 2013. Walter Veltroni è tornato a creare tensioni nel Pd con un'intervista a La Repubblica attraverso cui ha iniziato a lanciare verso i seguaci di Bersani una serie di bombe prossime a detonare.Esplosione prontamente accaduta con l'accusa all'ex segretario, declinata in varie sfaccettature e posizioni, di lavorare per spaccare ancora di più i Democratici. Ma quella di Veltroni è solo una delle tappe di avvicinamento alla battaglia finale che si giocherà con le primarie per scegliere il candidato premier dei Democratici. O del centrosinistra se riusciranno a trovare un alleato. La prima posizione «incendiaria» è quella sull'articolo 18 sul quale Walter prende una posizione ben diversa da Bersani, nettamente contrario a qualsiasi revisione. «Non bisogna fermarsi davanti ai santuari del no che hanno paralizzato l'Italia per decenni» risponde invece Veltroni a proposito della possibilità di cambiarlo. L'altro tema è l'etichetta di «riformista» appiccicata al governo Monti. Una parola che nel Pd fa immediatamente alzare il livello di attenzione e di tensione. «Circola nel Pd, ancora più nel Pdl – ragiona l'ex sindaco di Roma – l'idea che questo sia solo un governo di emergenza, una parentesi dopo la quale si tornerà ai riti e ai giochi della seconda repubblica o peggio della prima. Qualcuno dà giudizi tali da rischiare il paradosso di consegnare al centro o al nuovo centrodestra il lavoro del governo. È un errore grave. Questo governo tecnico ha fatto in tre mesi più di quanto governi politici abbiano fatto in anni». Poi l'affondo sul partito: «Nel Pd si discute di liberismo e di ritorno al socialismo. Invece siamo fuori dal Novecento». Infine la proposta che riaccende vecchie polemiche e ruggini: «Oggi sono il primo a chiedere di sciogliere le correnti, tutte, compresa la mia». La reazione più dura della parte bersaniana è del responsabile economico del partito, Stefano Fassina, che pubblica una lunga lettera su Facebook: «La prima regola per un dirigente nazionale sarebbe quella di affermare la posizione del partito di cui è parte. La posizione del Pd sul mercato del lavoro e sull'articolo 18 è diversa dalla tua, ovviamente legittima, ma minoritaria nel partito e più vicina, invece, alla linea del "pensiero unico" e alle proposte del centrodestra». E ancora: «In un partito serio in un passaggio di fase così delicato, prima di dire la propria posizione, si dovrebbe ricordare la posizione del partito». Lapidario il giudizio sul «riformismo» di Monti: «Se il programma del Governo è l'orizzonte di una forza progressista come il Pd, allora delle due l'una: o il Pdl, che insieme a noi sostiene il governo Monti, è diventato un partito progressista, oppure la tua valutazione è sbagliata. Se fosse giusta, dovremmo essere conseguenti. Alle prossime elezioni il Pd dovrebbe presentarsi insieme al Pdl, oltre che al Terzo Polo». Ma c'è anche chi come Enrico Letta è d'accordo con Veltroni: «Berlusconi tenta di berlusconizzare Monti? Chissà. Nel dubbio fa bene Veltroni a ribadire che non dobbiamo cedere Monti alla destra». In mezzo c'è l'ennesimo scontro-dibattito del Pd.

 

La Responsabilità Civile dei magistrati può diventare realtà.Scritto da:Rossana De Lucia

05.02.2012 09:59

Finalmente un altro privilegio dei giudici vieni giù.

Nei giorni scorsi a Montecitorio si è verificata una situazone che ha dell'incredibile.Per la prima volta nella storia della Repubblica è passato con voto favorevole un emendamento che va a instaurare, in caso di dolo o colpa grave, la responsabilità civile dei magistrati,come già accadeva e accade per gli altri funzionari dello Stato.Questa deve essere sottolineata come una vittoria di civiltà della politica che è intervenuta codificando finalmente, in modo diretto e chiaro, la volontà della maggioranza degli italiani.

Non va mai dimenticato, infatti, un dato storico incancellabile: nel 1987, l’80% degli elettori votò sì al referendum presentato da radicali, socialisti e liberali sulla stessa materia.

Il via libera alla responsabilità civile dei magistrati non è altro, quindi, che l’abolizione di un anacronistico privilegio: non è più accettabile, infatti, che magistrati i quali, per colpa grave, abbiano danneggiato un cittadino non siano chiamati a risponderne dinnanzi ad un loro collega.

Introducendo la responsabilità civile non si intacca, dunque, ma si rende più credibile l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. L’emendamento stabilisce che «chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato e contro il soggetto riconosciuto colpevole per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. Costituisce dolo il carattere intenzionale della violazione del diritto».

Ma c’è di più: l’emendamento approvato ieri è volto a dare attuazione ai ripetuti rilievi mossi dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia a causa delle inefficienze e dei ritardi accumulati dal nostro sistema giudiziario. Per paradosso, uno dei capisaldi del programma di governo del centrodestra è stato conseguito in Parlamento con Monti a Palazzo Chigi.

E infatti, per la prima volta da quando Berlusconi non è più presidente del consiglio, l’Anm si è messa sulle barricate annunciando lo sciopero e perpetuando così un vero e proprio attacco alla funzione legislativa del Parlamento, a cui evidentemente non si riconosce la legittimazione a intervenire sui temi che riguardano la giustizia. Un atteggiamento inaccettabile, in quanto intende porre la magistratura al di sopra della legge e del legislatore.

 

 

 

Tutto può essere criticato, ma non il sacrosanto diritto del Parlamento a fare le leggi, anche quelle sulla magistratura. L’introduzione della responsabilità civile dei magistrati, che gli italiani votarono plebiscitariamente nel referendum dell’87 rimasto poi del tutto inapplicato, non è altro dunque che una conquista di civiltà. Se infatti è giusto il principio secondo il quale chi sbaglia paga, questa regola va estesa anche all’attività dei magistrati.

 

 

 

Il governo Berlusconi aveva presentato una proposta che contemplava la possibilità per il cittadino di presentare un ricorso qualora si sentisse vittima di un’indagine aperta su basi insussistenti e prevedeva la creazione di un organo disciplinare per i magistrati. Una sorta di Corte di giustizia (o Corte di disciplina) con membri nominati in egual numero dal Capo dello Stato, dai magistrati e dal Parlamento in seduta comune.

 

Una proposta che potrebbe costituire la cornice normativa all’emendamento rivoluzionario passato ieri alla Camera.

 

Art.18.Le ragioni di un cambiamento.Scritto da:Rossana De Lucia

19.12.2011 18:29

Le strategie sulla modifica dello Statuto dei Lavoratori.

La Cgil già annuncia lotta ad oltranza, il terzo Polo ha dato il suo benestare e così pure il Pdl mentre il Pd è come al solito in confusione. Il posizionamento sull'ipotesi di riformare il mercato del lavoro che può avvenire solo con la revisione dell'articolo 18, è questo. Le affermazioni del ministro del Lavoro, Elsa Fornero, erano attese da giorni. Ieri l'intervista al Corriere della Sera nella quale la Fornero dice in modo chiarissimo cosa intende fare. Ovvero stop con i contratti precari ma basta anche con il tabù dell'articolo 18, di cui bisogna almeno discutere. «Non ci sono totem» sui temi del lavoro e, in particolare, sull'articolo 18, dice il ministro che invita i sindacati «a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte». I tempi per affrontare questo tema potrebbero slittare ma il percorso è segnato. La riforma delle pensioni, sottolinea il ministro, «deve accompagnarsi a quella del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali e, anche se non è di mia competenza, della formazione. Sono tutti aspetti di un disegno di riforma del ciclo di vita». «Forse non ce la faremo» a partire entro il 31 dicembre come prevede la manovra, ha detto il ministro, «perché vorrei presentarmi alle parti con delle analisi approfondite sulle diverse questioni». Sul tavolo c'è anche la riforma della contrattazione. Il modello di riferimento, anche se non lo dice esplicitamente, è quello del contratto unico introdotto da Marchionne negli stabilimenti Fiat. Certo che la contrattazione, spiega il ministro, «è materia tra le parti. Ma noi vogliamo presentare ad esse le nostre analisi e spingerle non a ridurre i salari, ma a riflettere sulla necessità di avvicinarli il più possibile alla produttività». Il che significa ridurre la parte della busta paga legata al contratto nazionale e dare più peso a quello aziendale modulato sulla produttività. La Fornero torna poi sulle pensioni. «Siamo tutti concentrati sulla contingenza, ma questa è una riforma strutturale. Per funzionare ha bisogno di un sistema in crescita. Non ci possiamo permettere la stagnazione e tantomeno la recessione». La manovra quindi «non poteva che essere forte. La priorità era di mandare un segnale deciso all'Europa sulla nostra capacità di riequilibrare il sistema secondo equità intergenerazionale». Il ministro sottolinea il ruolo che spesso ha avuto la previdenza «come un ammortizzatore sociale, per cui tutte le riorganizzazioni d'impresa sfociano in prepensionamenti». Al leader della Cisl che aveva detto, «questa manovra sembra scritta da mio zio» replica che «l'equità c'è, magari non quanto lui vuole, e il rigore c'è, e non ne potevamo fare a meno, pena la messa a rischio dei risparmi degli italiani e il non pagamento delle tredicesime». Quanto ai privilegi, i regimi speciali (elettrici, telefonici, trasporti, dirigenti d'azienda, ndr) sono stati colpiti con il contributo di solidarietà e comunque chi è stato risparmiato, sarà comunque toccato a breve. «Per alcune categorie, come militari e magistrati, c'è un rinvio, ma solo per approfondire le specificità dei loro ordinamenti. Nessuno si illuda che non interverremo. Stessa cosa per le casse dei professionisti. Lo so che qui dentro c'è buona parte della classe dirigente, ma sicuramente procederemo». Ma la replica della Cgil non si è fatta attendere. «Sì al confronto ma l'articolo 18 non si tocca. Piuttosto discutiamo di lotta alla precarietà». Il segretario confederale Fulvio Fammoni spiega così la posizione della Cgil. «Se si vuole combattere la precarietà - dice il dirigente sindacale - occorre intervenire cancellando tante forme di lavoro precario delle oltre 40 esistenti, intervenendo sul costo, facendo costare di più il lavoro precario rispetto a quello a tempo indeterminato, cosa che ad esempio non è stata fatta nella manovra per quanto riguarda l'intervento sull'Irap». L'articolo 18, incalza, «era l'ossessione del precedente ministro del Lavoro che ha impedito qualsiasi vera riforma». Cautela sull'art.18 da Alfano. «Non abbiamo mai considerato un tabù l'articolo 18, ma dobbiamo fare di tutto per garantire l'occupazione - ha detto il segretario del Pdl - Sulle politiche del lavoro occorre considerare i numeri che arrivano dal bilancio dello Stato, ma sempre in queste politiche del lavoro non bisogna mai dimenticare che dietro ogni numero c'è una persona».

 

Fiducia al Governo ma con tanti ma...Scritto da:Nicola Giordano

 

19.12.2011 18:36

La fiducia a Monti c'è ma sembra sottilissima.

C'è qualche scommettitore accanito pronto a puntare sulla possibilità che il governo tecnico di Mario Monti riesca a resistere fino al termine formale della legislatura? A dare una risposta inequivocabile potrebbe essere, sorprendentemente, il voto di fiducia alla manovra della Camera. Una fiducia con poca fiducia.
A parlare non sono stati i numeri ma i malumori, i distinguo, le astensioni, i tantissimi “nasi turati”. E se il buon giorno si vede dal mattino, il prossimo futuro dell'esecutivo fortemente voluto dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per salvare i conti pubblici e l'euro non si presenta per nulla roseo.
E' chiaro a tutti che a questa prima manovra impostata soprattutto sull'aumento della pressione fiscale, dovrà seguire una seconda manovra dedicata alle riforme strutturali destinate a ridurre le spese ed a riattivare i meccanismi della crescita e della ripresa. Ma dopo la fiducia data a bocca storta, tutti sono altrettanto consapevoli che al momento della “seconda ondata” i nodi potranno arrivare al pettine.
E le bocche storte, soprattutto se le riforme dovranno toccare il mondo del lavoro ed il ruolo delle forze sociali, potranno facilmente trasformarsi in pollice verso nella fine anticipata non solo dell'esecutivo tecnico ma anche della legislatura. Basterà, però, il ricorso alle elezioni per ridare stabilità e sicurezza al paese? Sarà sufficiente l'appello alla sovranità popolare per riprendere per i capelli una situazione che tende fatalmente a sfuggire di mano ed a precipitare rovinosamente? Chi si illude che il possibile fallimento dei tecnici riapra automaticamente la fase del ritorno dei politici compie un errore grossolano.
Perché per legittimare la fase tecnica è stata abbondantemente usata l'arma dell'antipolitica, che ha delegittimato totalmente (i sondaggi parlano chiaro) la fase precedente. Il fallimento dei tecnici, dunque, non potrà essere seguito dal tranquillo ritorno della vecchia classe politica secondo lo schema dell' “heri dicebamus”, quello che non tiene conto (ed infatti non funziona mai) di quanto sia avvenuto nel frattempo.
Nel passato ed in Sud America, quando fallivano prima i politici e poi i tecnici, arrivavano inevitabilmente i generali. Ma da noi, dove i generali sono i direttori generali ed i banchieri, il meccanismo prevede solo due passaggi ed è già scattato. Per cui alla fine della fase tecnica rischia di seguire una fase di caos totale che può sfociare o nell'involuzione autoritaria dei tecnici stessi (magari con l'avallo dei “poteri forti” internazionali) con conseguente fine della sovranità nazionale e rischi per la tenuta dello stato unitario.
Oppure una rilegittimazione della politica che si ripresenta al corpo elettorale non solo rinnovata profondamente nei suoi rappresentanti a tutti i livelli ma, soprattutto, con la capacità di fornire al paese una strategia chiara e convincente per tornare a nutrire la speranza di uscire dalla crisi.
La politica, in sostanza, non può limitarsi ad aspettare il fallimento quasi inevitabile dei tecnici. Deve accelerare al massimo la propria rigenerazione negli uomini e nelle idee per essere pronta ad assolvere le proprie funzioni quando sarà chiamata ad impedire che la crisi possa degenerare nel caos.
I partiti collocati oggi all'opposizione si illudono che basti irrigidire le posizioni, alzare la voce o giocare al “tanto peggio, tanto meglio” per arrivare pronti ed avvantaggiati all'appuntamento con il momento culminante e decisivo della vicenda in atto. Lo stesso fanno quelli che sorreggono loro malgrado il governo dell'emergenza nella convinzione di poterlo sostituire a proprio piacimento dopo che avrà esaurito il “lavoro sporco” per cui è nato.
Ma dopo la fase tecnica nulla sarà più come prima. Ci sarà un diverso bipolarismo, una diversa area terzista ed opposizioni altrettanto diverse. Ci saranno anche facce nuove. Ma, soprattutto, si avrà bisogno di idee, di progetti, di programmi totalmente innovativi. Che non nascono sotto i cavoli, ma possono scaturire solo da studi, approfondimenti, discussioni, confronti dedicati alla elaborazione di un futuro che non è affatto lontano ma è dietro l'angolo.
Chi può si affretti a preparare l'anti-caos!

 

Il fantasma delle elezioni anticipate.Scritto da:Rossana De Lucia

18.12.2011 09:49

E' sempre forte la tentazione o la paura del voto anticipato.

Come mai la politica ama poco i modi e le parole con cui il premier asserve il mandato che ha avuto? Sottolineando spesso, ad esempio, con «voi» e «noi» i due piani di lavoro del governo e del Parlamento. E quei 130 deputati assenti al voto sulla manovra di giovedì, 70 dei quali del Popolo della Libertà, sono il segnale di una inquietudine strisciante. Ma al di là dei desideri e delle dichiarazioni – costruite spesso ad uso e consumo di giornali e televisioni – ai vertici dei due partiti maggiori, Pd e Pdl, nessuno pensa seriamente di prepararsi a un voto anticipato. Non lo vuole Berlusconi, che pure venerdì ha lanciato qualche frecciata a Monti, non lo vuole neppure Pier Luigi Bersani che si è lasciato scappare un incauto «il nostro orizzonte rimane un appuntamento elettorale» e per questo ieri è stato ripreso e criticato dai suoi deputati.

Il Cavaliere, nonostante qualche frase di facciata, si prepara a una scadenza che è quella del 2013. Che prevede comunque di prepararsi a una campagna elettorale che inizierà tra poco meno di un anno. Ma i ritmi e i tempi con cui Berlusconi lavora in questo periodo, raccontano i suoi collaboratori, non sono quelli di chi immagina un traguardo elettorale fra tre mesi. Ma a tenere a bada frenesie e tattiche c'è soprattutto l'attenzione con cui l'Europa e i mercati finanziari guardano all'Italia. Andare alle urne a marzo ci farebbe precipitare in un baratro. E questa è la migliore assicurazione sulla vita del governo. «Da oggi fino a maggio – spiega il senatore del Pdl Andrea Augello – dobbiamo collocare circa 200 miliardi di buoni del Tesoro. Metterli sul mercato con un esecutivo dimissionario e le elezioni alle porte sarebbe una follia. Significherebbe far schizzare i rendimenti e lo spread a livelli inimmaginabili, andremmo davvero diritti alla catastrofe».

Ed è questo il motivo per cui le frasi di alcuni esponenti del Pdl suonano più che altro come avvertimento al premier a lavorare esclusivamente sui conti pubblici senza invasioni in altri campi. Che è il mandato per il quale, sottolineano un po' tutti i partiti, è stato chiamato a palazzo Chigi. «Il governo Monti deve essere un governo tecnico fino in fondo e la sua durata è dettata solo dalla responsabilità - è il commento del vicepresidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello – Finché potrà fare bene da noi non dovrà temere nulla, rappresentando l'Italia in Europa e non viceversa». Più dure, anche se l'obiettivo del messaggio è lo stesso, le parole dell'ex ministro della difesa Ignazio La Russa: «Per adesso gli abbiamo dato un certificato di sopravvivenza ma non c'è scritta la data di chiusura e di scadenza, che non è quindi obbligatoria.

Può durare ma può anche non durare. Se la deve meritare giorno dopo giorno e mese dopo mese». Dichiarazioni che comunque ieri hanno provocato la reazione di Pier Ferdinando Casini che di un voto ravvicinato non vuole proprio sentir parlare: «Penso non ci sia nessuno in giro così pazzo e irresponsabile da pensare alle elezioni invece che al sostegno di Monti». Anche nel Pd il traguardo per il quale si lavora è quello del 2013. E solo l'accenno, fatto venerdì dal segretario del partito, di un eventuale voto anticipato ha scatenato le reazioni del partito. «Quella di Bersani è stata una espressione non felice nel suo intervento di dichiarazione di voto, dicendo che il nostro orizzonte sono le elezioni» è stato il commento di Giuseppe Fioroni. Più esplicito il suo collega Giorgio Merlo: «Franceschini l'ha detto con chiarezza nel suo intervento alla Camera. L'azione vera e riformista del governo Monti è solo all'inizio. Ora, per non creare ulteriore confusione e disorientamento, sarebbe opportuno che, a cominciare dal Pd, i sostenitori più incalliti delle elezioni anticipate si prendessero un periodo di riposo».

 

Iniziano gli scioperi contro il Governo.Scritto da:Rossana De Lucia

12.12.2011 09:10

Sette giorni infuocati sul piano sindacale.

Settimana di proteste contro il Governo Monti. Si inizia da oggi con lo sciopero generale indetto unitariamente da Cgil, Cisl e Uil (con loro anche l'Ugl) che tornano ad una mobilitazione insieme dopo 6 anni. Ecco tutte le date.


OGGI SCIOPERO GENERALE DI 3 ORE Le confederazioni guidate da Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti hanno deciso uno stop di tre ore (le ultime tre del turno di lavoro). «Pagano sempre gli stessi e non chi non ha mai pagato e chi ha di più» attaccano i sindacati. La protesta di oggi interesserà il settore privato e anche i trasporti ma non il trasporto pubblico essenziale, sottoposto alla regolamentazione della legge sugli scioperi: esclusi, quindi trasporto aereo, trasporto pubblico locale, ferroviario e marittimo, attività di soccorso stradale e dell'Anas. Allo sciopero di tre 3 ore aderirà, invece, il personale di porti, autostrade, autonoleggio, trasporto merci e logistica, autoscuole e pratiche automobilistiche, trasporto funebre e impianti a fune. Il 15 e 16 dicembre ci sarà lo sciopero degli addetti alla mobilità per il ripristino dei fondi sul trasporto pubblico locale e sul ferroviario e per il rinnovo del contratto nazionale. Per oggi proclamato lo sciopero dei metalmeccanici anche la Fiom-Cgil, anticipando la protesta del 16 dicembre: l'astensione dal lavoro sarà di 8 ore, contro la manovra ma anche contro la Fiat e la scelta di estendere a tutto il gruppo l'accordo di Pomigliano, che «cancella il contratto nazionale».


VENERDÌ 16 BANCHE E RISCOSSIONI INCROCERANNO LE BRACCIA Sciopera unitariamente il settore del credito e delle riscossioni. La protesta è stata indetta da tutte le sigle di categoria sulla base dello sciopero generale proclamato da Cgil, Cisl e Uil per il 12 che nel settore slitta per la necessità di preavviso ed è riferita all'intero pomeriggio del 16.

 
LUNEDÌ 19 SI FERMA PUBBLICO IMPIEGO PER INTERA GIORNATA I lavoratori di Fp-Cgil, Cisl-Fp, Uil-Fpl e Uil-Pa sciopereranno per l'intera giornata lavorativa di lunedì 19 dicembre (dovendo rispettare i termini di preavviso previsti dalla legge sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali). «I soliti notì, lavoratori pubblici per primi, non sono disposti a pagare da soli il peso del risanamento e quindi sciopereranno unitariamente», dicono i sindacati.


 

 

Sotto il Governo Monti tasse record al 45%.Scritto da:Rossana De Lucia

08.12.2011 08:30

Dal 1997 ad oggi,è record di pressione fiscale.

Il massimo storico di pressione fiscale in Italia risale infatti al 43,67% del 1997 (anno dell'Eurotassa) e soltanto un'altra volta, per la precisione nel 2007, la soglia del 43% è stata di poco superata (43,05%). Poi è caduto il governo Berlusconi, il pesante fardello del debito pubblico ha imposto al suo successore tecnico, Monti, la pesante manovra «salva Italia» e anche le già funebri previsioni della Banca d'Italia sono destinate ad essere superate. In base ai calcoli dell'ufficio studi dell'Ordine dei Commercialisti, infatti, la pressione fiscale schizzerà già sopra il 45% nel 2012 e potrebbe sfiorare il 47% nel 2014. Ecco come. Quella del governo Monti è, a regime, una manovra da 30 miliardi di euro, di cui il 58,41% è costituito da maggiori entrate fiscali mentre il 41,59% è rappresentato da tagli di spesa. Nell'immediato, sul 2012, la contribuzione richiesta ai cittadini, sotto forma di aumento della pressione fiscale, arriva però addirittura al 76,13% della manovra complessiva. Tra le maggiori entrate fiscali, tre voci da sole concorrono a formare oltre l'80% delle aspettative di maggiore gettito: la nuova imposizione sugli immobili (IMU) per il 46,49%, le accise sui carburanti, per il 24,17% e l'addizionale regionale IRPEF per il 9,36 per cento. L'incremento di due punti percentuali delle aliquote Iva del 10% e del 21% (due punti e mezzo a partire dal 2014), spiegano i commercialisti, non costituisce invece maggiore entrata, perché è interamente destinato a coprire i «vuoti a perdere» di entrate fiscali che la precedente manovra aveva lasciato sostanzialmente indefinite, rinviando alla legge delega fiscale e previdenziale. Tra i tagli di spesa, quasi l'intero ammontare è ascrivibile ai soli interventi in materia previdenziale (77,55%) e ai tagli su province e comuni (21,66%). La manovra è quindi destinata per il 69,31% a copertura del deficit, al fine di consentire l'avvicinamento dell'obiettivo del pareggio di bilancio. Per un altro 19,30% sarà a copertura di stimoli per la crescita economica, rappresentati essenzialmente dall'introduzione di un regime di favore fiscale per la capitalizzazione delle imprese; dalla riduzione del costo del lavoro, mediante la previsione della deducibilità dal reddito di impresa della parte di Irap calcolata sul costo del lavoro nonché da regimi di favore fiscale per l'occupazione di giovani e donne. Per l'11,39% coprirà invece nuove spese indifferibili, come le missioni militari all'estero e il fondo per il trasporto locale. Il risultato è devastante: prima della manovra, la pressione fiscale che risultava attesa dopo gli interventi operati da ultimo lo scorso agosto era il 44,04% sul 2012, il 44,84% sul 2013 e il 44,83% sul 2014. Per effetto della manovra Monti, la pressione fiscale attesa cresce al 45,17% sul 2012, al 45,70% sul 2013 e al 45,54% sul 2014. Un saliscendi determinato dal fatto che il calcolo si basa sul Pil che comincia a crescere quando fa effetto la manovra e poi si stabilizza. Infatti anche queste percentuali sono da ritoccare ulteriormente al rialzo proprio perché calcolate assumendo come Pil atteso per gli anni 2012, 2013 e 2014 quello risultante dall'ultimo aggiornamento del Dpef, secondo il quale il Pil del 2012 si dovrebbe attestare a 1.622 miliardi (con un tasso nominale di crescita rispetto al 2011 dell'1,8%); quello del 2013 a 1.665 miliardi (con un tasso nominale di crescita rispetto al 2012 del 2,6%) e il Pil del 2014 a 1.714 miliardi (con un tasso nominale di crescita rispetto al 2013 del 2,9%). Se, in linea con le più recenti previsioni per il 2012 e tenuto conto degli inevitabili effetti parzialmente recessivi della manovra, si rivedono le stime di crescita del Pil sulla base di più realistici tassi nominali di crescita dell'1% sul 2012 e del 2% sul 2013 e sul 2014, la pressione fiscale attesa arriva a sfiorare sul 2014 il 47% (46,85%). Per quanto obbligato e ponderato, sarà un massacro. «Se si sarà in grado di intervenire stimolando la crescita questo scenario potrebbe non realizzarsi», sottolinea comunque Enrico Zanetti, direttore del centro studi tributario Eutekne.info. «Così come si accetta la logica degli esuberi quando un'azienda privata viene ristrutturata nel convincimento che l'alternativa è andare tutti a fondo, bisogna pensare che oggi in ristrutturazione è lo Stato e se davvero lasceremo arrivare la pressione a quota 47% sarà il Paese intero ad essere morto. Certo, non si deve sostituire questo difficile ragionamento con la lotta all'evasione fiscale. Non perché non vada fatta, anzi. Ma con una soglia di pressione al 47% e con i livelli di crescita scarsa che ci attendono - conclude Zanetti - questa battaglia deve assolutamente essere utilizzata per ridurre le imposte a chi le paga».

 

La ricetta Monti.Troppi sacrifici?Scritto da:Rossana De Lucia

05.12.2011 12:10

Le indicazioni dell'Esecutivo tecnico sembrano già scontentare tutti.

A palazzo Chigi tutto rimaneacceso fino a tardi. Il weekend è di quelli importanti. Per Mario Monti è il momento di «calare le carte». Il presidente del Consiglio incontra i rappresentanti dei partiti per spiegare loro i provvedimenti che il governo ha messo a punto per sanare i conti. La manovra che intende portare nelle casse dello Stato circa 25 miliardi di euro, è pronta. Al punto che il Consiglio dei ministri previsto per domani potrebbe essere anticipato a oggi pomeriggio. L'idea è quella di procedere al varo delle misure anticrisi subito dopo gli incontri con le parti sociali, intorno alle 15. L'obiettivo è duplice: arrivare alla riapertura dei mercati con il pacchetto già in tasca, ma anche limitare al massimo le tensioni con partiti e sindacati. Non tutti i "nodi", infatti, sono stati sciolti e i tecnici, in realtà, sono ancora al lavoro per elaborare il testo definitivo e dare un'ultima limata che consenta al provvedimento di accontentare tutti e non essere «impallinato» in Parlamento. I partiti, dal canto loro, aspettano. Solo un paio di settimane fa hanno accordato la loro fiducia al governo Monti, e nessuno dei leader ricevuti dal professore ha il coraggio adesso di mettere sulla sua strada dei «paletti» definitivi. Certo le forze politiche rimangono in pressing, ma il premier difende le sue scelte, e le spiega. In gioco non c'è solo l'Italia, ma la tenuta della stessa Europa: ecco perché non c'è altrenativa a una manovra «pesante», che imporrà sacrifici a tutti. Ai rappresentanti di Pdl, Pd e Terzo Polo, però, Monti assicura che questi saranno «equamente ripartiti». Quanto ai contenuti, a preoccupare maggiormente i partiti sarebbero le norme relative all'Ici, ai ritocchi delle aliquote Irpef e all'eventuale tassa sui beni di lusso. «C'è il rischio che con questi interventi si contraggano ulteriormente i consumi senza un vero rilancio per la crescita», è il ragionamento. Sull'Irpef, in particolare, l'obiettivo delle trattative sarebbe quello di evitare che almeno la fascia di reddito che va dai 55 ai 75 mila euro venga colpita da un aumento dell'aliquota. «55 mila euro mi pare una soglia troppo bassa, non possono pagare sempre gli stessi», spiega il segretario Angelino Alfano. Il presidente del Consiglio, affiancato dai ministri Passera, Fornero e Giarda (vero tessitore della manovra), non sbarra la strada a possibili modifiche. Il pressing dei partiti potrebbe anche essere accolto, anche se ancora non si sa in che forma. «L'aumento dell'aliquota Irpef del 41% non ci sarà», dice Gasparri in serata. «La nostra raccomandazione è di stare attenti a che non paghino sempre gli stessi», insiste Alfano. Il presidente del Consiglio «è stato chiamato proprio per assumere decisioni non facili e di questo noi ci rendiamo conto. La nostra principale raccomandazione è procedere con equità» in modo che il «carico sia parametrato rispetto alla capacità dei contribuenti», dando in particolare alla famiglia «un ruolo centrale». Dello stesso avviso il Terzo Polo: «Le famiglie, che sono le grandi dimenticate di questo Paese, bisogna dare loro attenzione», avverte Pier Ferdinando Casini, che chiede, in particolare, che non vengano cancellate le detrazioni a loro vantaggio previste dalla delega fiscale varata da Tremonti e dal governo Berlusconi. Per il resto - assicura - «vigile solidarietà» al governo, anche se la manovrà sarà pesante. «Deve fare cose che per lungo tempo non sono state fatte», ammette il leader centrista. In serata è il turno del Pd, il partito di Pier Luigi Bersani ha forti dubbi sulla «lotta all'evasione fiscale e sulle le pensioni. Nessuno più di noi conosce la gravità della situazione - ha spiegato Bersani al termine di due ore e mezzo di colloquio con il premier - l'Italia si trova nel punto più esposto della crisi. Conosciamo l'esigenza di intervenire anche in maniera dolorosa, ma abbiamo portato le nostre proposte». Il Pd vuole, ha spiegato, maggiore tutela di pensionati, pensionandi e dei redditi più bassi

 

E' l'ora del Coraggio della Politica.Scritto da:Nicola Giordano

30.11.2011 08:39

Coraggio e nuove idee.Questo può cambiare l'Italia.

Sembra essere giunto il momento.Il momento di un cambiamento,il momento di una inversione di rotta,netta e decisa.E per fare questo serve ciò che spesso sembra mancare,il coraggio,il coraggio della politica. Ma cosa significa? Politica come azione volta al bene comune, che deve essere perseguito da chi riveste pubbliche funzioni e in momenti come questo ha il compito di gestire l’incertezza del paese investendo e rischiando.

Il coraggio, appunto, di agire seguendo due linee ben precise: collaborazione e partecipazione, rinunciando a quella parte retorica della polemica anticasta che non fa il bene del Paese. E che, invece, è stata ampiamente fomentata sia da certi partiti che dai media.

Un tema complesso su cui riflettere, quello della "politica coraggiosa", specialmente oggi che a guidare il Paese è un governo di tecnici. E' necessario tornare quanto prima al normale andamento della democrazia, quello per cui gli esecutivi li scelgono gli elettori. E in questo contesto il Pdl riflette, si interroga, perché ogni stop presuppone una ripartenza. Un nuovo avvio che deve, secondo Mantovano, partire dal presupposto che gli attuali elettori del centrodestra non hanno smesso di sostenere certe idee e che difficilmente voteranno per una sinistra che oggi appare più disgregata che mai. Il vero nemico, piuttosto, è l’astensionismo figlio della disaffezione e dell’indifferenza che vanno combattute rivedendo alcuni aspetti del modo di fare politica, in un sistema che dal 1994 ad oggi ha cambiato assetti e ora necessita di diventare più inclusivo, di poggiarsi su principi più forti e non negoziabili da rintracciare in quel diritto naturale fatto proprio dal popolarismo europeo come base per qualsiasi scelta positiva. Tutti pilastri che si pongono in antitesi con il relativismo imperante.

Bisogna trovare il modo di appassionare nuovamente i cittadini alla politica, ma per fare ciò è necessario anzitutto ritrovare unità e compattezza, che non vuol dire unanimità ma dialettica, basata sul confronto e sulla valorizzazione delle diversità di opinione.

C'è da fare senza dubbio molta autocritica, ma allo stesso tempo va chiarito che quella della politica interna è stata solo una parte della crisi, che è invece una crisi internazionale, frutto dell'abisso venutosi a creare a livello globale tra economia reale e virtuale, e che si mescola con un'altra crisi, quella del direttorio franco-tedesco e, soprattutto, dell'intero progetto europeo. Un’Europa nata per ricucire gli strappi e le ferite delle guerre ideologiche tramite la creazione di una condivisione identitaria tra gli stati membri, che muovesse dalla storia e dalla cultura comune e che favorisse una naturale cessione delle singole sovranità nazionali in favore di un'unica sovranità europea.

Peccato che etica, cultura, identità non siano riuscite a dar vita a un'unione politica che sostenesse quella economica: alla moneta unica si ferma l’opera europea e le fonti normative hanno finito per essere solo un “vincolo”, un laccio stretto per i paesi membri, specialmente per quelli con un'economia instabile come la nostra, centro della crisi perché punto di collegamento tra Europa baltica e Europa mediterranea, tra Nord e Sud.

Allora l’Italia, che è ferita ma viva, deve ripartire facendo attenzione ai localismi tanto quanto alle esigenze internazionali. Deve guardare alle nuove grandi sfide trovando gli strumenti giusti per affrontarle, con il coraggio di quella politica che è gestione della cosa pubblica nell'esclusivo interesse del Paese. Un obiettivo comune che non può dividere ma, al contrario, deve unire. E' questa la "Nuova Italia".

 

Un Governo che non sa comunicare.Scritto da:Nicola Giordano

29.11.2011 12:29

La principale accusa mossa a Monti è l'incomunicabilità delle sue idee.

Ora si dice che il problema di Mario Monti sia quello di avere un gruppo di tecnici che non sa comunicare. Perché, si dice, è formato da tecnici che non hanno l'esperienza e la competenza necessarie per utilizzare al meglio i canali della moderna comunicazione multimediale. Ma questa ipotesi del governo tecnico che non comunica perché al proprio interno non ha tecnici della comunicazione è decisamente ridicola.
Non solo perché gran parte dei personaggi che fanno parte dell'esecutivo non vengono dalla montagna del sapone ma da esperienze professionali perfettamente calate nella società della comunicazione e dell'immagine. Ma soprattutto perché il governo tecnico può contare su un supporto comunicazionale che nessun governo precedente (tranne quello dell'epoca dell'autoritarismo fascista) ha mai avuto a propria disposizione.
Cioè il sostegno pieno, assoluto, acritico ed in qualche caso anche un po' ottuso, della totalità della grande stampa nazionale. Tutti i principali giornali italiani, tutte le principali reti televisive, tutte la maggiori reti radiofoniche nazionali sono apertamente schierate a sostegno e ad esaltazione del professor Mario Monti e del suo esecutivo.
Perché, allora, si ha l'impressione che il governo non sappia o non riesca a comunicare? La risposta è addirittura banale. Perché neppure il pensiero unico riesce a colmare il vuoto del pensiero inesistente. Il governo, in sostanza, non comunica perché, al momento, non ha nulla da comunicare.
Non ha individuato i sottosegretari ed i vice ministri. Non ha ancora messo a punto il pacchetto di riforme “impressionanti” con cui dovrebbe consentire al paese di fronteggiare e superare la crisi. Monti, dunque, a dispetto della necessità e dell'urgenza che hanno motivato il suo avvento a Palazzo Chigi, non riesce a muoversi.
O meglio, si muove con grande lentezza in mezzo ad enormi difficoltà. Che sono quelle poste dalla condizione di dover contrattare preventivamente con i partiti di una maggioranza emergenziale (cioè occasionale e non politica) i passi più banali come quelli della scelta dei sottosegretari.
Ma che nascono soprattutto dalla circostanza, ormai evidente anche ai ciechi, che la crisi non è domestica ma internazionale. E che per uscirne non basta avviare una, sia pur indispensabile ed urgentissima, fase di grandi riforme strutturali all'interno del paese ma bisogna attendere l'esito della guerra all'euro lanciata dai grandi centri di potere finanziario e politico anglosassoni.
Il nostro, in altri termini, è un fronte marginale, secondario. La sorte della guerra si decide a Berlino, a Parigi, a Francoforte, a Londra , a New York. Non sappiamo chi vincerà. Sappiamo solo che chiunque riuscirà a spuntarla, siano i poteri forti anglosassoni o i poteri forti tedeschi o franco-tedeschi, imporrà la proprie decisioni ad una Italia privata della propria sovranità nazionale ed obbligata ad allinearsi come tutti gli altri paesi deboli dell'Europa.
Monti, dunque, ha poco da comunicare. Potrà nei prossimi giorni sciogliere il nodo dei sottosegretari e presentare un pacchetto di misure composto solo dai soliti aumenti di tasse e gabelle (quelle sui consumi e quelle sulla casa). Ma, per il resto, dovrà solo aspettare l'esito del conflitto mondiale in corso sperando di non essere costretto a passare alla storia come l'uomo della definitiva rinuncia alla sovranità nazionale dello stato unitario italiano.
Nell'attesa, comunque, il Presidente del Consiglio dovrebbe chiedere alla stampa amica di non marchiarlo negativamente prima del tempo. Faccia sapere a chi di dovere, ad esempio, lui che è stato un autorevole editorialista del “Corriere della Sera”, che se il vertice di via Solferino lancia la campagna di vendita a spezzatino di Finmeccanica e di privatizzazione di Eni ed Enel mette in difficoltà il governo.
Fa sospettare che sta in piedi senza legittimità democratica solo per realizzare la svendita a pezzi stracciati dei gioielli di famiglia del paese. Il ché è un perfetto esempio di comunicazione negativa: Monti il liquidatore!

 

Il Cavaliere non molla.Raddoppia.Scritto da:Nicola Giordano

28.11.2011 08:57

Berlusconi pronto a rigettarsi nella lotta elettorale.

Il Cavaliere è tornato. Non che fosse mai uscito dal teatro della politica ma ieri è riapparso in pubblico come non faceva da tempo: aggressivo, pronto a partire per la campagna elettorale, «feroce» contro la sinistra e critico contro alcune decisioni che vorrebbe prendere il nuovo premier Mario Monti.E per capire quanto il Cavaliere, dopo un paio di settimane passate in silenzio a studiare la situazione e ad ascoltare i consigli di Gianni Letta, abbia voglia di tornare a farsi sentire basta guardare le parole usate: il centrodestra è necessario «per combattere per la libertà», la sinistra torna ad essere quella dei «comunisti», l'impegno personale «sarà raddoppiato». Parole che fanno anche capire come Berlusconi non abbia mai abbandonato l'idea di arrivare in tempi brevi a nuove elezioni, e come consideri ormai aperta la campagna elettorale. Contro un centrosinistra con il quale sembra già finita la tregua. Se sabato era stato infatti Pier Luigi Bersani a scaricare parole rabbiose contro il Pdl – «hanno perso tempo per tre anni, ora hanno fretta» - ieri ci ha pensato Berlusconi a rispolverare la linea della lotta. Allo stesso tempo, però, tendendo la mano al Carroccio: «L'alleanza con la Lega è solida e non può essere assolutamente essere resa più debole con questi ultimi accadimenti e con il governo dei tecnici: i motivi dello stare insieme sono importanti e direi decisivi per il futuro del Paese».


Il Cavaliere, dopo i dubbi che ancora non aveva sciolto sabato sera, ha deciso di andare a Verona invitato da Carlo Giovanardi a parlare al convegno dei Popolari Liberali. È arrivato insieme al segretario del Pdl Angelino Alfano, si è «goduto» gli applausi e i cori «Silvio Silvio», si è fatto appuntare sulla giacca una spilletta con scritto «Love, no droga», e poco dopo mezzogiorno è salito sul palco per il suo intervento. Breve, una ventina di minuti, ma denso di argomenti. E di attacchi. Il primo proprio al governo in carica. Monti ha ripetuto più volte che uno degli obiettivi che ha in mente è quello di abbassare l'uso del contante introducendo l'obbligo del pagamento elettronico sopra la soglia dei 300 euro. Idea che per il Cavaliere è assolutamente da respingere: «In una norma del genere c'è insito il pericolo reale di uno stato di polizia tributaria. È il contrario dello stato di diritto nel quale vogliamo continuare a vivere». Quello stato di diritto che la sinistra non sembra aver ancora imparato ad apprezzare. «Siamo convinti che i nostri valori sono quelli che fanno bene all'Italia – ha attaccato – dall'altra parte non c'è una maturazione democratica che abbia portato il Pd, figlio o nipote del Pci, a diventare un partito socialdemocratico». «Siamo convinti delle differenze tra noi e loro – ha proseguito – io sarei l'uomo più felice del mondo se potessi constatare che dall'altra parte ci sia una maturazione in direzione della libertà e del rapporto tra il cittadino e lo Stato. Loro vogliono ancora che siano i cittadini al servizio dello Stato mentre per noi è il contrario. Sono gli stessi di quando Bersani era il presidente della Regione Emilia Romagna e ribadiva i valori dell'Unione sovietica». «Siamo scesi in campo nel '94 – ha poi ricordato – lasciando anche i mestieri che ci appassionavano perché non volevamo che il Paese cadesse nelle mani dei comunisti. Purtroppo si cerca di far passare nel dimenticatoio questa tragedia ma noi ce la ricordiamo perché è stata la tragedia, quella del comunismo, più disumana e criminale per la storia dell'uomo».


Così Berlusconi si prepara alla campagna elettorale. «Non lo so se sarà lunga – spiega – ma dobbiamo essere pronti. Io lavorerò dietro le quinte». Ma il suo entusiasmo, assicura, sarà ancora maggiore: «Raddoppierò l'impegno per l'organizzazione della nostra forza politica. Stiamo già lavorando per disporci capillarmente in tutta Italia, per creare dei team elettorali in tutte le sezioni, per arrivare dappertutto attraverso Internet, per scrivere il programma, frutto del nostro lavoro». In questa nuova organizzazione del Pdl non poteva mancare l'incoraggiamento ad Angelino Alfano, seduto accanto a lui ma «oscurato» dalla presenza «straripante» del Cav. «Grazie Angelino – lo conforta – sono davvero felice ogni volta che ti ascolto, ogni giorno, perché per me è una certezza: per la vittoria che dobbiamo conseguire siamo in ottime mani».

 

I due Consoli.Monti-Napolitano.Scritto da:Nicola Giordano

 

26.11.2011 15:33

Una vera diarchia sembra essersi instaurata in Italia.

E' errato augurarsi il fallimento del governo tecnico presieduto da Mario Monti. Perché non ci sono altre soluzioni diverse oltre a quella rappresentata dalla nascita del “governo del Presidente”. E se Monti non riuscisse nella sua impresa di portare il paese fuori della grande crisi, non si avrebbe altra strada che andare ad elezioni destinate a sfociare o nella polverizzazione del quadro politico e nella ingovernabilità o, peggio, nella polverizzazione dello stato unitario.
Monti, allora, rappresenta l'ultima spiaggia. E come tale va sostenuto. Ma questa consapevolezza non può impedire di non riconoscere la profonda anomalia che il suo esperimento governativo rappresenta. L'esecutivo tecnico nasce da una forzatura del Presidente della Repubblica e si fonda su una sostanziale sospensione della normale dialettica democratica del sistema politico.
Chi ha paura delle parole non osa parlare di esperimento ricalcato dagli esempi dei “dittatori” a tempo degli antichi romani o dei governi dei consoli fondati sulla temporanea sospensione delle prerogative e delle funzioni del senato. Ma chi non si spaventa di usare paragoni storici così forti non può evitare di rilevare come l'attuale esecutivo, come qualsiasi altro esempio di “governo del Presidente”, rappresenti una forzatura ed una forte anomalia democratica.
Certo, Monti ha il taglio fisico del professore e non di Pompeo o di Cesare, ma, sia pure con la sua aria misurata e dimessa rappresenta una parentesi di stampo autoritario nella vita democratica del paese. Sicuramente necessaria ma altrettanto sicuramente autoritaria. Avere coscienza di un simile fenomeno significa non dimenticare mai che la parentesi autoritaria non può che essere limitata.
Tanto più che nel nostro paese sappiamo bene come finiscono le vicende degli “uomini della Provvidenza”: partono per essere brevi e durano un ventennio! Invece c'è chi si rifiuta di considerare a tempo l'esperimento ed inizia a sostenere la necessità non solo di non prevedere un termine al governo tecnico ma di istituzionalizzare il fenomeno trasformandolo nella base di una futura ristrutturazione del sistema politico italiano.
I teorici di questi proposta sono di due diverse categorie. Ci sono i nostalgici del compromesso storico che sostengono come l'unica forma di governo possibile per un paese come l'Italia sia quella fondata sull'intesa tra cattolici e sinistra che ha la sua radice nella resistenza e nella Costituzione.
Una forma che, è stata tradita prima da De Gasperi e poi dal regime democristiano imposto dalla guerra fredda, ha trovato una brevissima applicazione nella metà degli anni '70 in nome dell'emergenza contro il terrorismo a sua volta cancellata dagli anni dell'edonismo craxiano e dalla lunga parentesi di immoralità berlusconiana.
Ai nostalgici dell'intreccio delle parodie del berlinguerismo e del moroteismo (quelli, per intenderci, alla Pisanu) si affiancano i più pericolosi ed irresponsabili nemici della democrazia dell'alternanza. Cioè i fautori del perenne immobilismo di un centro che non sia il frutto di una fusione politica e culturale di forze diverse ma dalle stesse radici ma la conseguenza di un compromesso di semplice potere tra partiti naturalmente in contrasto ed in competizione.
Costoro vorrebbero che l'anomalia del presente diventasse la normalità del futuro. E l'esperimento del governo tecnico servisse a creare le condizioni per la formazione di un sistema politico fondato sul superamento del sistema bipolare e della democrazia dell'alternanza e sul ritorno ad un sistema promozionale destinato a stabilizzarsi attraverso il patto di potere tra il Terzo Polo ed i segmenti più consistenti dei due partiti maggiori Pdl e Pd e la marginalizzazione fuori di questo nuovo arco costituzionale dei partiti cosiddetti estremisti.
Il tutto, come il caso di Pierferdinando Casini, per affermare una sorta di nuova ed inedita centralità post-democristiana. Quella fondata non su una nuova Dc ma su una singola persona: se stesso. Auguri!

 

C'è qualcosa di strano.Scritto da:Nicola Giordano

20.11.2011 08:34

Mai visto un Governo osannato prima ancora di iniziare.

Adesso che è stato rivelato finalmente il programma del governo Monti e si può prendere atto che non presenta al suo interno nessuna ricetta miracolistica in grado di far calare subito lo spread o cancellare con un tratto di penna il debito pubblico, la domanda che ci si deve porre è quale sia la ragione per cui il nuovo esecutivo abbia potuto godere, prima ancora di essere formato e di aver reso noto le sue intenzioni programmatiche, di un consenso acritico così ampio e convinto tra le forze politiche e nell'opinione pubblica nazionale.
Una risposta può essere che il consenso aprioristico e la cambiale in bianco firmata dagli italiani a Monti è la conseguenza naturale ed obbligata del dissenso e nel credito di fiducia accumulati da Silvio Berlusconi negli ultimi due anni della sua terza esperienza a Palazzo Chigi. La risposta è corretta ma molto parziale.
Perché l'entusiasmo preventivo per Monti non è solo il frutto della delusione per Berlusconi ma anche il punto d'arrivo di una diffidenza e di un rifiuto generalizzato per la politica in genere che sono nati sicuramente dalla incapacità della stessa politica di rispondere alle attese popolari con serietà e competenza.
Ma che sono anche il frutto di una campagna mediatica che non ha precedenti nella storia del nostro paese (se non ai tempi del regime fascista) per ampiezza, insistenza, determinazione ed incredibile conformismo. Se oggi Monti viene salutato come salvatore della Patria, se è nato un governo in cui non figura nessun eletto dal popolo, se il paese è stata di fatto commissariato dai grandi poteri stranieri e nostrani, se l'avvento dell'esecutivo tecnico viene salutato come una pausa salutare per la rigenerazione di una politica malata (curiosamente anche l'avvento di Pinochet in Cile ebbe la stessa motivazione ), una buona parte di ragione sta nella ossessiva e tambureggiante campagna condotta per anni da tutti i grandi media del paese contro non solo il Cavaliere ma l'intera classe politica.
Non si è trattato di una normale campagna rivolta al semplice obbiettivo di liquidare una volta per tutte Berlusconi. Si è trattato di una operazione più complessa, più raffinata e più ambiziosa indirizzata a conquistare in maniera definitiva ed irreversibile quella egemonia culturale e politica che era stata in passato l'obbiettivo indicato da Antonio Gramsci per la classe operaia e che è diventata il risultato conseguito da una casta più esclusiva ed intoccabile di quella politica.
L'operazione è partita da lontano ed è stata portata avanti con grande capacità mobilitando tutte le risorse mediatiche dei cosiddetti “poteri forti”. Ed ha conseguito il clamoroso risultato di riuscire in quell'impresa di cacciare il Cavaliere su cui avevano fallito i partiti e la magistratura.
Ma a questo risultato si è aggiunto quello più alto ed importante di aver conquistato in maniera definitiva quell'egemonia culturale che ha prodotto il pensiero unico del consenso acritico e generalizzato per il governo della emarginazione della politica e del trionfo dei “padroni” reali del paese.
Il centro destra, che pure sostiene l'esecutivo simbolo della sua sconfitta, ha la responsabilità di aver favorito in maniera dissennata questa operazione. Non aver capito in tutti questi anni che il terreno della comunicazione è quello dove si combatte per la conquista dell'egemonia è stato un errore marchiano e clamoroso.
E non aver fatto crescere una generazione di comunicatori di cultura liberale è stato non solo un errore ma addirittura una ignominia. Ma la sinistra sbaglia nel salutare con soddisfazione la sconfitta subita dal centro destra sul piano della comunicazione. Perché la conquista dell'egemonia da parte dei media dei poteri forti è stata compiuta soprattutto ai suoi danni.
Da adesso in poi saranno proprio le forze politiche e culturali della sinistra il bersaglio del pensiero unico dei media dei “padroni”. Per imporre una volta per tutte la supremazia della supercasta sulle vecchie caste minori ed in disarmo!

 

Il Cavaliere Dimezzato.Scritto:Michele Giordano

19.11.2011 09:58

Il Premier lascia dopo il voto alla Camera.

E’ finita. Berlusconi si è arreso. Si è dimesso. Il popolo festeggia, inneggia nelle piazze. Cantano l’ Alleluja. Sputi,insulti e lancio di monetine caratterizzano la sua uscita di scena. Come Craxi qualche anno fa. Sic transit gloria mundi avrebbe detto qualcuno. Dopo una settimana convulsa caratterizzata dallo sfaldamento della maggioranza, il premier , preso atto della debacle, “è costretto” a recarsi al Quirinale e rimettere il proprio mandato nelle mani del Presidente della Repubblica. Promette le dimissioni. Sabato 12 Novembre , data storica, mantiene la promessa. Forse l’unica della sua legislatura. L’attimo seguente il suo partito inizia a sfaldarsi. Iniziano le faide interne. Taluni decidono di accondiscendere ai voleri del satrapo morente e invocano le elezioni, talaltri mostrano il loro assenso alla costituzione di un governo tecnico. L’unica strada percorribile per far uscire l’Italia dal guado. Seguono dissidi e scontri. Il partito inizia a denudarsi. Fuoriescono le varie anime che albergano all’interno. Socialisti,democristiani riparati sotto l’egida del capo iniziano a scontrarsi  con il fascista dalla voce rauca. Scontro all’Ok corral. Vincono i socialisti forzaitalioti.

 

Il governo del Presidente vede quindi la luce. Quasi tutte le forze politiche sono costrette a parteciparvi.Vuoi per per senso di responsabilità,vuoi per opportunità politica danno il loro placet onde evitare di ripresentarsi alle prossime elezioni con la nomea d’aver contibuito al fallimento del paese. Il Monti I si è già insediato a Palazzo Chigi con un consenso piuttosto ampio per portare a termine le riforme richieste.

Preso atto della seconda sconfitta in pochi giorni decide di rivolgersi al suo elettorato. Confeziona l’ennesimo videomessaggio senza contraddittorio come un Bin Laden qualsiasi. Dimentico d’aver smarrito l’afflato affabulatore cerca di persuadere ancora. Riesce solo a scaldare i cuori di alcuni peones afflitti dalla sindrome di Stoccolma(o di Arcore) e da un’infantile ecolalia.

 

I giornali esteri salutano con soddisfazione e ilarità la fine del berlusconismo.”L’ Italia dovrà ora rispettare gli impegni e riscattarsi” invocano.

Il Ventennio nero è ora archiviato. Il mistificatore dal sorriso sbagliante ormai non sembra più in grado di nuocere. L’immobile despota vestito da liberale è nudo. E non è spettacolo piacevole. Le sorti del Pdl graveranno ora sulle spalle di Angelino Alfano,il democristiamo siculo.Un comunicatore abile ma sprovvisto di quel carisma per  poter far da collante in un partito dalle troppe anime. Ancora troppo tenero per simili palcoscenici. Cinque anni di opposizione sembrano la giusta cura per forgiargli l’animo.Resta un quesito da sciogliere.Come archivieranno gli storici il tetro periodo berlusconiano? Si era presentato nel 94 con un video abbastanza stucchevole nel quale decantava le virtù del nostro paese e prometteva l’agognata rivoluzione liberale. Elencava una serie di riforme di cui nessuna portata realmente a compimento. Il contratto con gli italiani,stipulato dal notaio Vespa, è stato risolto da tempo per inadempimento. Prevedeva la costituzione delle cd. Grandi Opere, il Ponte sullo Stretto, il dimezzamento del tasso di disoccupazione, separazione delle carriere tra giudici e pm, innalzamento delle pensioni minime e liberalizzazioni a profusione.Come sia finita ça va sans dire. Cala il sipario su Berlusconi e il berlusconismo. Luci in sala.That’s all folks.

 

La nuova vita del Cavaliere.Scritto da:Nicola Giordano

17.11.2011 10:22

Berlusconi si dividerà tra partito e Parlamento.

«Sempre il Parlamento deciderà. State tranquilli». Fa un certo effetto - a chi lo ascolta - sentire Silvio Berlusconi in stile così istituzionalmente corretto. Nel Pdl, inutile nasconderlo, c'è molto malcontento. Ci sono dissapori. C'è persino chi organizza un piccolo gruppo per votare contro la fiducia. C'è chi resta con l'amaro in bocca. Per esempio Maurizio Sacconi ha mal digerito la nomina a suo successore al Welfare di Elsa Fornero, di colei che quest'estate quando si stava per lavorare sulle pensioni parlò di «intervento meschino ed estemporaneo ipotizzato da chi non capisce nulla di sistemi previdenziali». Il Cavaliere lo sa. Sa di queste tensioni tra i suoi. E per prima cosa vuole riprendersi il partito. Il suo partito. Il Pdl. Per questo si presenterà a Montecitorio domani e parlerà a nome del suo gruppo, ribadendo così la centralità di Camera (dove Pdl e Lega mantengono la maggioranza in buone parti delle commissioni) e Senato (sia nelle commissioni che in Aula). Anzi, per dirla tutta l'ex premier sta già lavorando al discorso e ha buttato giù i concetti chiave. Via libera al governo Monti. Ma questo non vorrà dire che il principale partito (almeno in Parlamento) darà l'ok anche «a provvedimenti contrari a quelli che fin qui abbiamo votato»: il riferimento è alla possibile reintroduzione dell'Ici sulla prima casa. Possibile anche un no alla patrimoniale, sebbene si dovrà vedere che tipo di provvedimento metterà sul tappeto Monti. Nulla di personale. Al contrario, Berlusconi parla sempre molto bene del professore bocconiano. In privato ha detto che è un «uomo indiscutibilmente capace», che l'Italia «è in buone mani» e che il «Pdl collaborerà». Se il nuovo governo scantonerà oppure farà scelte che vadano contro i ceti che finora sono stati protetti dalla maggioranza Pdl-Lega allora saran dolori. L'azione di Silvio sarà tuttavia sul doppio binario. Istituzionale in Parlamento, movimentista fuori. Si parla anche di una manifestazione, ma è prematuro. Più probabile gazebo nel week end. Sogna di raddoppiare gli iscritti del Pdl, annuncia che scriverà ad ogni tesserato per chiedergli di portarne uno nuovo. Fa sapere che non molla. Al contrario: «Tornerò a fare l'imprenditore ma del partito». Recupera l'ottimismo ora che è libero dal gravame del governo: «Non dobbiamo mollare, ci sono i margini per recuperare e questo tempo dobbiamo utilizzarlo per riorganizzare il partito e rinsaldare il rapporto con gli elettori». Nell'ufficio di presidenza che si riunisce in serata il Cavaliere cita anche dei sondaggi. Stando a quanto viene raccontato, l'ex presidente del Consiglio avrebbe sostenuto che il Pdl è oltre il 27 per cento, mentre la fiducia nei suoi confronti sarebbe oltre il 35 per cento. Tanto gli basta per affermare che ci sono le condizioni per riacciuffare la vittoria nelle urne quando ci saranno. «Dobbiamo partire - avrebbe detto - dal presupposto che non siamo stati sfiduciati ma abbiamo assunto decisioni per senso di responsabilità e questo gli italiani ce lo riconosceranno». Per il resto le solite promesse di Berlusconi: l'ufficio di presidenza del Pdl si riunirà ogni settimana, il congresso si farà presto... In conclusione è nelle parole di Angelino Alfano che si intuisce la linea. Il segretario del Pdl spiega che il partito terrà un atteggiamento responsabile in Parlamento per contribuire alla ripresa del Paese ma, allo stesso tempo, questa fase segna l'inizio di fatto della campagna elettorale sebbene non ci sia ancora una data per l'apertura delle urne. Alfano esorta tutti a rimboccarsi le maniche, a restare uniti, a evitare personalismi e localismi e cominciare a lavorare avendo presente il voto. Nel frattempo, come sottolinea il Cavaliere, si è già proiettati nella campagna congressuale che sfocerà nell'assise nazionale. Bisognerà attendere qualche giorno per vedere che cosa accadrà. Se il Pdl sarà capace di tenere oppure se dovrà vedere ancora qualcuno dei suoi deputati andare via, in altri lidi. Se riuscirà a tenere unite le sue truppe oppure perderà ancora qualche pezzo. Che questa volta rischia di diventare un'autentica tracimazione.

 

Il Cavaliere non si arrende.Scritto da:Nicola Giordano

14.11.2011 10:26

Come un leone ferito,pronto a reagire.

Dopo il colloquio tra Giorgio Napolitano e Mario Monti – appena entrato nello studio del presidente della Repubblica – «esplode», trasmesso da tutte le tv, il videomessaggio di Silvio Berlusconi. Un discorso che era stato annunciato già dal primo pomeriggio e che il premier uscente, dopo averlo registrato nella sala stampa di palazzo Chigi, ha consegnato alle televisioni proprio in concomitanza con l'arrivo del suo successore al Colle. Un intervento nato soprattutto dalla rabbia e dall'amarezza per le contestazioni subite sabato sera davanti a palazzo Grazioli e davanti al Quirinale e che, nella sostanza, fa capire due cose: che Berlusconi si è dimesso da presidente del Consiglio ma non ha alcuna intenzione di uscire dalla scena politica; e che comunque le decisioni del nuovo governo tecnico dovranno essere sottoposte all'esame del Pdl. Ma allo stesso tempo Berlusconi ha voluto anche togliere all'opposizione la possibilità di attaccarlo per non essere disponibile al confronto: il tono del discorso – nonostante la rivendicazione di essere stato costretto a dimettersi non perché sfiduciato in Parlamento ma per le pressioni dei mercati finanziari – è puntato sul dialogo, sul senso di responsabilità che deve servire a portare l'Italia fuori dal pantano della crisi. L'inizio del videomessaggio è dedicato alla rivendicazione che alla maggioranza che ha governato fino ad oggi non c'è qualcuno che possa sostituirsi. «È chiaro a tutti – attacca il Cavaliere – che oggi non esiste un'alternativa politica rispetto al nostro governo, che ha servito l'Italia col supporto della maggioranza espressa dal voto degli italiani».

Dunque il passo indietro è stato fatto solo per venire incontro alle richieste di Napolitano e per cercare di dare stabilità finanziaria al Paese: «Nella libertà e responsabilità delle nostre decisioni e secondo il principio di delega parlamentare che è il cuore del processo democratico in Italia siamo pronti a favorire gli sforzi del Presidente della Repubblica per dare subito al Paese un governo di elevato profilo tecnico, reso forte da un largo consenso parlamentare». «Subito dopo l'approvazione della legge di stabilità – prosegue – come avevo annunciato, ho rassegnato le dimissioni da presidente del Consiglio. L'ho fatto per senso di responsabilità, per senso dello Stato, per evitare all'Italia un nuovo attacco dalla speculazione finanziaria, senza essere mai sfiduciato dal Parlamento, dove possiamo contare tuttora sulla maggioranza assoluta». Ma quel che preme a Berlusconi è condannare le manifestazioni di piazza di sabato, gli insulti, le monetine, l'assedio a palazzo Grazioli. Scene che sono state la molla principale che gli ha fatto prendere la decisione di intervenire e di parlare agli italiani. «È stato triste vedere che un gesto responsabile e, se permettete, generoso come le dimissioni, sia stato accolto con fischi ed insulti. Ma per le centinaia di manifestanti che erano in piazza, milioni di italiani sanno che abbiamo fatto in coscienza tutto il possibile per preservare le nostre famiglie e le nostre imprese dalla crisi globale che ha colpito tutti i Paesi avanzati». Poi, dopo essersi tolto questo tarlo fastidioso che lo assillava da 24 ore, l'apertura alle opposizioni. E l'invito a mettere da parte liti e polemiche per lavorare insieme. «Qualunque sia il prossimo governo – spiega – nessuno potrà portarci via la nostra sovranità e la nostra autonomia nelle decisioni. Siamo un grande Paese. È arrivato il momento di mettere alle spalle ogni faziosità o gratuita aggressività».

L'obiettivo è quello di far risalire l'Italia dalla crisi in cui è precipitata. Non certo per colpa del governo – ripete – ma per una condizione economica che ha colpito tutta l'Europa. «Dobbiamo uniti far fronte a una crisi che non è nata in Italia, che non è nata sul nostro debito, che non è nata sulle nostre banche e neppure in Europa: è una crisi che è diventata crisi della nostra moneta comune, dell'euro, che non ha il sostegno che ogni moneta deve avere. Il sostegno di una banca garante della moneta, che invece hanno il dollaro e la sterlina. Questo deve diventare la Bce se vogliamo salvare l'euro e con esso l'Europa». E all'opposisione che gli ha già fatto il funerale Berlusconi ribatte con una promessa: continuerò a lavorare per cambiare l'Italia. «Ringrazio comunque gli italiani, grazie per l'affetto, per la forza che ci avete trasmesso e che ci hanno permesso di raggiungere molti degli obiettivi che ci eravamo prefissi fin dal 1994, dal giorno in cui annunciai la mia discesa in campo e che ha cambiato la storia dell'Italia. Al credo politico che pronunciai allora non sono mai, mai venuto meno. Fu e rimane una dichiarazione d'amore per l'Italia. Non cambio una virgola di quelle parole, quell'amore e quella passione sono immutati. Per questo raddoppierò il mio impegno in Parlamento e nelle istituzioni». «Non mi attendo riconoscimenti – è la conclusione – ma non mi arrenderò finché non saremo riusciti a modernizzare l'Italia, riformando la sua architettura istituzionale, il suo sistema giudiziario, il suo regime fiscale». A Mario Monti, ora, è rimasta solo la strada della trattativa.

 

Dimissioni Berlusconi.Si a Monti a patto che...Scritto da:Rossana De Lucia

13.11.2011 08:22

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha accolto alle 21.00 al Quirinale il Presidente del Consiglio dei Ministri, onorevole Silvio Berlusconi, il quale, essendosi concluso l'iter parlamentare di esame e di approvazione della legge di stabilità e del bilancio di previsione dello Stato, ha rassegnato le dimissioni del Governo da lui presieduto. Il Presidente della Repubblica, nel ringraziarlo per la collaborazione, si è riservato di decidere ed ha invitato il Governo dimissionario a rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti. Le consultazioni del Capo dello Stato si svolgeranno nella giornata di domani. Berlusconi ha successivamente lasciato il Quirinale dall'uscita laterale del Palazzo. L'incontro con Giorgio Napolitano è durato 45 minuti. La folla accalcata a piazza del Quirinale, inizialmente inconsapevole della fine dell'incontro, dapprima ha fischiato, e poi, quando i cordoni della polizia si sono sciolti, ha invaso la Piazza con cori e canti.
 

Il Cavaliere arriva al Colle. La Roma dei palazzi del potere ribolle nel crepuscolo del governo Berlusconi. Capannelli di folla crescente, tenuti d'occhio da un sempre più corposo schieramento di forze dell'ordine, si sono assiepati all'ingresso del Quirinale. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è arrivato al Quirinale per rassegnare le dimissioni nelle mani del Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Al suo arrivo è esploso il grido della folla: "Buffone, buffone". E ancora: "Fuori la mafia dallo Stato". Un arrivo "ritardato" di qualche minuto, visto che il corteo di auto blu proveniente da palazzo Grazioli ha preferito arrivare al Colle passando da via XX settembre per evitare di passare attraverso la folla. In piazza del Quirinale, poco prima dell'arrivo del premier dimissionario, è stata rafforzata la presenza delle forze dell'ordine con l'arrivo di diverse camionette.
 

Lancio di monete in piazza del Quirinale, monete da 10 e 20 centesimi. Il presidente del Consiglio è appena arrivato al Colle e c'e' molta gente in piazza. La gente urla slogan diversi, sventola bandiere tricolori e mette in bella mostra manifesti. "E' arrivata la tua ultima orgia" recita uno di questi. C'e' chi grida: "Fuori la mafia dallo Stato". Sulla piazza la gente grida "buffone, buffone". E c'e' chi prosegue con il grido 'fuori, fuori'.
In piazza del Quirinale e' arrivato anche il questore di Roma, Tagliente. Ci sono anche alcune delle forze dell'ordine in tenuta antisommossa, in una piazza che da questa sera alle 19 si e' riempita ancora di più.


Ok all'incarico per Mario Monti, ma il Pdl vuole discutere ancora sulla squadra di governo, sul suo programma e sui tempi del mandato, e per valutare l'esito del confronto l'Ufficio di presidenza del Pdl è già riconvocato a dopo l'incontro tra il premier incaricato e la delegazione del partito. E' quanto si legge in una nota emessa dal Pdl al termine della riunione di stasera dell'Ufficio di presidenza. "L'ufficio di Presidenza ha approvato la proposta del presidente, Silvio Berlusconi, e del segretario politico, Angelino Alfano, di dichiarare al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la disponibilità al conferimento dell'incarico al senatore Mario Monti per la formazione di in governo tecnico", si legge nella nota. "L'Ufficio di Presidenza sarà riconvocato dopo l'incontro tra il Presidente incaricato e la delegazione del Pdl, così da consentire la verifica circa l'esito di un confronto in merito alla composizione dell'esecutivo, al programma proposto e ai tempi del mandato", si conclude la nota.


Consultazioni no stop da domani mattina al Quirinale per la formazione del nuovo governo. I primi colloqui di Napolitano saranno con il presidente del Senato Renato Schifani alle 9 e con il presidente della Camera Gianfranco Fini alle 9.30. Poi sarà la volta delle rappresentanze parlamentari nel gruppo Misto della Camera e i gruppi parlamentari: alle 10 L'Union Valdotaine, alle 10.15 la Svp, alle 10.30 il Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud, alle 10.40 Fareitalia per la Costituente popolare, alle 10.50 i Liberal Democratici-Maie, alle 11 i Repubblicani-Azionisti, alle 11.10 Noi per il Partito del Sud-Lega Sud Ausonia, alle 11.20 la rappresentanza parlamentare socialista nell'ambito del gruppo Udc-Svp e altri (gruppo al Senato). Alle 11.30 sarà a colloquio con Napolitano la delegazione dell'Idv, alle 12 Coesione nazionale-Io Sud-Forza del Sud, Popolo e Territorio, alle 12.20 i Liberali per l'Italia. Alle 12.30 il colloquio con la delegazione della Lega, guidata da Umberto Bossi.
Alle 13 le rappresentanza del gruppo parlamentare Udc, Svp, Autonomie del Senato, l'Udc per il Terzo Polo, la rappresentanza del gruppo parlamentare per il Terzo Polo (Api-Fli), Futuro e Libertà, Alleanza per l'Italia. Alle 13 le rappresentanza del gruppo parlamentare Udc, Svp, Autonomie del Senato, l'Udc per il Terzo Polo, la rappresentanza del gruppo parlamentare per il Terzo Polo (Api-Fli), Futuro e Libertà, Alleanza per l'Italia.

Ritorno a Palazzo Grazioli. Dopo le dimissioni da presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi sta incontrando a palazzo Grazioli alcuni dei principali dirigenti del Pdl. Nella sua residenza romana, "assediata" da migliaia di manifestanti che gioiscono per il suo addio a Palazzo Chigi, sono presenti il segretario del Pdl Angelino Alfano, i coordinatori del Pdl Ignazio La Russa e Denis Verdini, Gianni Letta e il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto.

Letta esce di scena. Ho fatto il mio percorso, in tutti questi anni ho servito il Paese, ora tocca ai giovani, con questa esperienza ho concluso. Agli esponenti del Governo è sembrato un vero e proprio commiato, un ragionamento di chi ha servito l'Italia e ora non vuole essere tirato in diatribe politiche. Tutto ancora può succedere, ma il sottosegretario del Consiglio - riferiscono alcuni membri del governo - si e' tirato fuori e ha voluto ringraziare tutto il Governo Berlusconi nella sua interezza per il lavoro svolto finora. Io e anche voi - ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio - abbiamo la coscienza a posto, ora il futuro è dei giovani, io ho dato tutto quello che potevo dare. Ai presenti nella riunione a Palazzo Chigi, Letta è apparso stanco, quasi con l'intenzione di voler uscire dalla politica. E' stato proprio Letta a portare avanti le trattative sia con il Colle e sia con l'opposizione per arrivare al sì del Pdl e di Berlusconi all'esecutivo Monti. Il suo nome in un primo momento sembrava dovesse essere inserito nella "lista Monti", ma ci sarebbe stato l'alt del Pd e del terzo polo e del 'fuoco amico' di un partito della coalizione di maggioranza, ovvero la Lega, a ostruire la sua strada per un eventuale ingresso nel futuro governo. Non è ancora certo che Letta non entrerà nell'esecutivo, visto che il premier insisterà su questo punto, contando sull'appoggio anche di Giorgio Napolitano. Berlusconi, durante l'ufficio di presidenza del Pdl, ha ribadito che la scelta di appoggiare Monti è obbligata ed è proprio Letta uno di quelli che si sono spesi di più per "sbloccare" l'impasse.

 

Quando la giustizia non c'è.Scritto da:Nicola Giordano

09.10.2011 11:22

Chi paga per gli errori commessi?

Le parole  dell’ex guardasigilli Angelino Alfano in seguito alla sentenza di Perugia, che ha ribaltato il primo grado di giudizio, hanno scatenato un putiferio di polemiche. Molti, a cominciare dal vicepresidente del Csm Vietti si sono risentiti. In realtà, il leader del Pdl ha messo il dito in una delle piaghe del sistema giudiziario italiano e questo non è argomento che possa essere confuso con lo spirito di parte né diventare oggetto di diatribe sterili. Anzi, molti professionisti seri, che sentono il peso di tante distorsioni del sistema giudiziario, confermano, infatti, l’esigenza di enucleare i veri problemi senza edulcorare la realtà. Tra molti giudici e magistrati  serpeggia lo scontento, il senso di frustrazione. Uno di questi è certamente Giancarlo De Cataldo, giudice di Corte d’Assise a Roma, autore ben noto con Romanzo criminale e autore di due libri appena usciti che non potevano cadere in un momento migliore, avendo per tema proprio la giustizia italiana: uno è scritto in forma narrativa, si tratta di Giudici (Einaudi), composto di tre racconti firmati oltreché da De Cataldo, anche  da Lucarelli e Andrea Camilleri; il secondo, che è quello che più coglie nel segno delle riflessioni di questi giorni è In-giustizia ( Rizzoli), titolo che è tutto un programma.
Non è un mistero per nessuno che il 53 per cento delle sentenze  sono corrette o ribaltate nei successivi gradi di giudizio; che il 43 per cento dei detenuti è in attesa dei giudizio, come ha denunciato Pannella; e che il 50 per cento di essi che, secondo statistiche, saranno proclamati innocenti: questo il curriculum deprimente che pesa come un macigno sulle storture della giustizia e sulla vita delle persone. E fare finta di niente e polemizzare contro chi con cognizione di causa stigmatizza il dramma che nessuno paghi per gli errori commessi, non ci aiuterà a migliorare lo stato di salute della giustizia.  Se in altri paesi chi ha indagato in maniera inappropriata o condannato innocenti non vivrebbe momenti di grande tranquillità, da noi invece sì, perché i giudici non sono penalmente resposabili degli errori commessi e delle vite stravolte. Ecco, proprio il fattore umano è infatti centrale in In Giustizia, saggio in cui De Cataldo non intende certo proporre bacchette magiche. Si direbbe un giudice rassegnato? Il titolo è del resto molto eloquente. Dobbiamo convivere con una giustizia “ingiusta”? Non proprio. «Questo è il libro che ho cullato per trent’anni», ha avuto modo di raccontare l’autore.«È il libro della mia vita da magistrato e di un po’ di storia d’Italia vissuta da dentro i tribunali, raccontata attraverso le vicende esemplari di chi ha sbagliato, di chi ha lottato, di chi si è difeso e di chi è stato condannato». Un’esigenza di raccontare questo mondo che viene da molto lontano, dunque.
La sua “bussola” è che «la giustizia è un’aspirazione, una conquista quotidiana. Non si può mai darla per scontata. Bisogna lottare di continuo per realizzarla», ha premesso durante le presentazioni del volume che ha il sapore del work in progress, realizzato sulle esperienze di una vita in toga. Non nasconde, naturalmente, i difetti di un sistema e in particolar modo viene messo in luce il ruolo dei magistrati nei farraginosi e complessi ingranaggi della macchina della giustizia nel nostro Paese. Lo fa descrivendo la cronistoria giudiziaria di alcuni casi emblematici degli ultimi anni: dal caso Sofri a quello di Marta Russo, per finire ai casi complessi della banda della Magliana. In questo modo il magistrato è in grado di mostrarci i meccanismi perversi del nostro sistema giudiziario. E proprio attraverso la messa a nudo della realtà è possibile eventualmente capire a che punto siamo arrivati e verso dove dobbiamo dirigerci.